Sono oltre 100 le opere del Maestro del Surrealismo, Salvador Dalì (1904-1989), esposte, o meglio, affastellate diremmo, da domani – per il pubblico – al 25 maggio 2013 a Palazzo Medici Riccardi. La mostra, secondo il curatore, che è anche collezionista, Beniamino Levi, è concepita “per permettere al pubblico (meno avvertito), di avvicinarsi agli aspetti poco conosciuti del lavoro del grande artista, scoprendo un’ampia selezione di diverse sculture in bronzo, oggetti in vetro, collages e raccolte grafiche che illustrano i grandi temi della letteratura”.
Beniamino Levi racconta di aver conosciuto da vicino l’opera di Dalí, venendo a contatto personalmente con lui e già dagli anni Sessanta, quando era gallerista a Milano, incontrandolo personalmente nelle sue residenze di Parigi, New York e nella sua terra natale, la Spagna. È proprio da questa serie di incontri col carismatico artista surrealista che Levi ha cominciato a realizzare in scultura quello che negli anni Trenta, Dalì aveva concepito pittoricamente. In mostra accanto alle tante opere tridimensionali, appaiono apprezzabili opere grafiche che illustrano, tra l’altro, temi importanti della letteratura mondiale. Levi dichiara di aver raccolto tutto quanto ha trovato in giro per il mondo, lavori che ha aggiunto a quelli di cui ha ottenuto i diritti di riproduzione, direttamente da Dalì vivente, grazie anche all’influente moglie Gala, la vera “affarista di famiglia”. La pittura del grande artista surrealista, infatti, non è facilmente acquisibile per i costi elevati, ed esiste in quantita molto minore della scultura, che, a vedere questa mostra, appare riproducibile…all’infinito. Invece proprio così non è: intanto delle opere di cui si detengono i diritti, si possono fare fino a 12 copie, che sono sempre “originali”. E come tali, commerciabili.
E veniamo all’esposizione, che va affrontata dal cortile del palazzo – altrimenti si arriverebbe dal bookshop, vero variegato mercato – sul cui ingresso è posto il bronzo dell’Elefante del trionfo, in bilico su secche e lunghe zampe d’altro animale. Poi la sequenza di sale, abitate fino alla claustrofobia, da Ballerine, Alici nel paese delle meraviglie, Lady Godiva, Santi e draghi, assieme alla pregevole Donna “cassettata” in fiamme e la Venere dal collo di giraffa, e poi dalla freudiana figura sdraiata, col corpo diviso a cassetti. A seguire ancora una cascata di Orologi molli in tutte le salse. Diventano più facilmente godibili gli oggetti in pasta di vetro colorata, prodotti tra il ’68 e l’88, scelti e raccolti in teca; le barocche posate vermeille e pietre preziose con la tazzina in bronzo dorato, da cui “può si può bere”; i pezzi d’arredo, i mobili surrealisti, pochi e quindi belli, come la sedia Leda o l'arcifamoso divano Mae West a forma di bocca rossa.
Delle opere grafiche – in esubero anch'esse- sono affascinanti specie quelle a collage, datate anni Settanta, che si ispirano a famosi capolavori di arte antica. La collezione di incisioni e litografie, frutto della passione di Dalí per le grandi opere letterarie, dimostra che l’artista era una persona estremamente colta e curiosa. La sua interpretazione surrealista dei testi va dalle opere classiche, come la spettacolare Divina Commedia di Dante, ai testi più moderni, di scrittori contemporanei
Tanta la varietà di opere replicate esposte in questa mostra, probabilmente per evidenziare le diverse tecniche e materiali esplorati dal genio catalano. Divertenti gli aforismi in catalogo che disegnano alcuni tratti della personalità di Dalì, come questo: “Non mi sono mai drogato: la droga sono io”.