Lavoro: i limiti della ricetta della Cgil

Le tasse e l'imu sono al centro dell'interesse. Ma non mancano gli scandali che fanno sempre da sottofondo alle bordate qualunquiste e demagogiche della destra, del centro e della sinistra nostrane.  Ed invece un argomento serio lo ha lanciato la CGIl con il suo “Piano per il lavoro”. E forse, pur tenendo conto dell'ennesimo scandalo bancario che ha reso fibrillante l'agenda politica  (l'affaire Monte dei Paschi), avrebbe meritato una ben altra attenzione anche da parte dei media. 

Il tema del lavoro. E’ un tema non solo italiano. Ma sicuramente europeo. In questi anni si stanno bruciando, in nome di rigide politiche di austerità non accompagnate da efficaci politiche di sviluppo, enormi quantità e qualità di risorse umane. Con riflessi economici devastanti. Che costringono il Pil europeo su livelli incredibilmente bassi e statici, peraltro incrementando, attraverso il blocco del denominatore, quell’indice debito/pil il cui contenimento  rappresenta il principale obiettivo delle politiche economiche della Ue e degli stati europei. Ma anche con riflessi sociali depressivi che colpiscono in particolare il mondo dei giovani e delle donne che sono le principali “vittime sacrificali” di questa irrazionalità economica.

E quindi ha fatto bene la CGIL a ricordarlo e a rimettere il lavoro al centro dell’Agenda politica del futuro Governo nazionale ed anche, attraverso gli strumenti di pressione degli stati nazionali, di quello europeo. Perché rimettere al centro il lavoro è il vero, e più importante,  obiettivo politico del centrosinistra. E’ su questo punto che si gioca la credibilità di un futuro Governo di centrosinistra rispetto alle aspettative della gente in “carne ed ossa”. Ed è su questo punto che, se il PD acquisisce la fiducia della gente con proposte non velleitarie, può uscire vincente dalla battaglia incalzante generata da quell’Agenda qualunquista, demagogica e di destra che vede solo negli scandali “della politica” e nel livello delle tasse il “centro” dell’attuale campagna elettorale.

La proposta della CGIL, che qualcuno ha paragonato al Piano del lavoro di Di Vittorio e che io invece terrei lontana da simili confronti, si fonda su un pilastro molto tradizionale nella visione della sinistra italiana. E cioè un grande piano di opere pubbliche, magari con una rinnovata e moderna attenzione alle tematiche ambientali e dello sviluppo sostenibile, che sia in grado di guardare insieme sia alla congiuntura presente (politica anticiclica) che al rafforzamento strutturale (politica di medio periodo).

Con questo “taglio”, pur tradizionale e non condiviso da tutta la sinistra europea, penso che si possa essere d’accordo. E’ vero che il moderno keynesismo rifiuta facili ricette da “spesa pubblica facile” e accetta, in accordo con l’approccio liberale, che per uno sviluppo strutturalmente forte e duraturo occorre lavorare anche sui fattori dell’offerta e non solo della domanda. E quindi sulla competitività, sulle risorse umane, sulla  imprenditorialità, sul funzionamento dei mercati, sulle politiche per la ricerca e l’innovazione e così via. Ma è difficile negare, in questo momento e in questa Europa, che non ci sia un grande e drammatico, per quanto banale, deficit di domanda. E quindi ben venga la semplice ripresa dell’intervento pubblico in funzione anticiclica. Ma da sola, questa proposta, non può bastare. E anzi, se non ben delineata, può essere addirittura controproducente. 

Ci sono due elementi che vanno chiariti. Senza i quali la proposta di un nuovo piano di intervento pubblico rischia di portare il paese in una situazione peggiore di quella attuale. Il primo fa riferimento al tema del reperimento delle risorse. Un piano straordinario, come quello proposto dalla CGIL, necessita di una quantità di risorse finanziarie non indifferente. E qui la proposta della CGIL  appare debole laddove si fonda sul solito slogan di un maggior peso fiscale sui ricchi (come non ricordare l’esiguo effetto ricavato dal Governo Monti con la “tassa sui ricchi”!) oppure sul “sogno” di una patrimoniale che pesi significativamente sulle classi più ricche.

La posizione di Bersani sulla patrimoniale era apparsa chiara. Per quanto riguarda il patrimonio immobiliare non c’è spazio per nuovi volumi di risorse. A meno di non inasprire eccessivamente, in modo insensato, il peso fiscale sulle case, c’è semmai da spostare una parte del peso dalle prime case più modeste verso le case più signorili e le seconde case. Quindi uno spostamento di fiscalità dai ceti più modesti a quelli più abbienti. Ma è difficile pensare al patrimonio immobiliare come una fonte ancora “carica” su cui fondare nuove, rilevanti, entrate per un piano di interventi pubblici.

Per quanto riguarda invece il patrimonio mobiliare il problema è, oggi e forse anche nel prossimo futuro, più complesso. Penso che siamo tutti d’accordo nel ritenere eccessivamente bassa la tassazione sia sui rendimenti che sul patrimonio finanziario dei cittadini europei. E d’altronde siamo anche tutti coscienti che questa “irrazionalità” non è frutto di cattiva volontà dei Governi. Ma piuttosto della volatilità e mobilità dei capitali finanziari che difficilmente possono essere “bloccati e tassati” dai singoli stati nazionali. Quindi il problema si sposta, come per una seria applicazione di una Tobin Tax almeno continentale, a livello europeo. E quindi si parla di risorse potenziali, da utilizzare in un contesto europeo diverso, più attento al lavoro e allo sviluppo dell’economia reale, ma non di risorse a disposizione di politiche di ogni singolo stato nazionale.

Il secondo elemento da chiarire, nella proposta della CGIL, è la quasi totale assenza di lotta all’inefficienza pubblica sia nel senso delle strutture sia nel senso degli interventi e dei sistemi regolativi. E’ vero che si parla di lotta agli sprechi, ma qui sembrano prevalere le solite “doleance” sui comportamenti perversi della politica e del pubblico piuttosto che l’attenzione alle inefficienze strutturali. E il motivo è semplice. Perché nel caso degli sprechi della politica c’è un unanime consenso nel paese: chi è contro le auto blu, gli stipendi d’oro, l’alto numero dei parlamentari, etc. Quando invece si parla di inefficienza pubblica si parla di organizzazioni, di comportamenti e di procedure tipiche della PA e delle società pubbliche che non funzionano. Dove ci sono eccessi di manodopera. Dove i fannulloni non vengono puniti. Dove gli stipendi non sono di fatto legati alla produttività (gli incentivi uguali per tutti non sono una cosa seria!!!). E cose di questo genere dove i sindacati (tutti, non solo la CGIL) non sono certamente alla testa del  necessario, anche se a volte doloroso, cambiamento.

E quindi, senza una severa revisione di questo modello pubblico italiano, le proposte della CGIL diventano un elemento di conservazione e rimandano ad un periodo, quello passato, in cui si è scambiata occupazione e ricchezza attuale a scapito dello sviluppo delle future generazioni.

Cioè in mancanza di una seria analisi sulla disponibilità delle risorse necessarie per lanciare il Piano e senza una seria proposta di cambiamento del pubblico (senza richiamare per l’ennesima volta la Riforma della pubblica amministrazione che appare ai più oramai una litania piuttosto che un programma di governo!) il Piano per il lavoro diventa una pura operazione politica. Cioè la ricerca, da parte della CGIL, di uno spazio politico in cui posizionare il sindacato per contrastare l’ingresso di alcune, necessarie e ancora troppo timide, contaminazioni liberaldemocratiche nella sinistra italiana.

Sarà per questo che Bersani è parso abbastanza timido nell’appoggio a quel Piano. Siamo certi, anzi lo speriamo, che Bersani sappia cogliere la sfida nel suo aspetto positivo (rimettere il lavoro al centro dell’Agenda politica) ma sappia anche trovare strade diverse e contesti diversi per farlo diventare davvero un elemento di cambiamento reale dell’economia e della società italiana. Magari anche con l’appoggio di una CGIL meno attenta al posizionamento politico e invece più attenta agli interessi reali dei lavoratori in carne ed ossa. Quelli di oggi, ma anche con uno sforzo di coesione intergenerazionale, quelli di domani.

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