Redditi e agricoltura, dove vanno a finire i soldi della spesa alimentare degli italiani?

Firenze – Il dato è allarmante: i redditi degli agricoltori italiani, a differenza di quanto avviene in tutti gli altri principali paesi europei, non solo non crescono, dato già abbastanza allarmante in se’, ma sono anche fra i più bassi dell’Unione: 22.000 € il reddito medio di un agricoltore italiano contro 47.000 euro in Francia e i 36.000 euro in Germania. I conti sono presto fatti calcolando la spesa alimentare complessiva nazionale, che è di circa 220 miliardi di euro tra consumi domestici e consumi fuori casa. E i risultati li mette “in chiaro” il Rapporto Agrinsieme-Nomisma presentato ieri alla 1° Conferenza economica del coordinamento Cia, Confagricoltura, Alleanza delle cooperative agroalimentari a Roma: quanto di questo “giro” di soldi finisce in tasca ai produttori? Poco, pochissimo: “Più della metà di tali risorse non vanno a finire nelle tasche di imprenditori e occupati nelle varie fasi della filiera (agricoltura, industria alimentare, distribuzione, grossisti e ristorazione); più di un terzo della spesa alimentare serve a finanziare il costo legato all’approvvigionamento di beni e servizi prodotti da altri settori economici (packaging, trasporti, logistica, comunicazione, energia, ecc.), una tipologia di costi strettamente legata ai livelli di efficacia del sistema Paese nel suo complesso (si pensi al costo dell’energia)”. Ma non è tutto: “La cosa più preoccupante è che tale tipologia di costi pesa sempre di più sui conti delle imprese agroalimentari (dal 22% al 34% dei consumi alimentari nel decennio 2000-2010)”.

Secondo i conti della Cia, la somma di tutti gli utili “conseguiti dalle imprese delle varie fasi della filiera (agricole, industriali, distributive ecc.) rappresentano solo il 3% dei consumi alimentari (7 miliardi di euro). In sintesi, nella filiera agroalimentare, al netto di ovvie eccezioni, in genere si guadagna poco, una circostanza particolarmente vera per la fase agricola”.

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