Firenze – Non ci saranno licenziamenti da parte delle ditte che si sono aggiudicate l’appalto della gestione delle biblioteche comunali. Questo è quanto emerso dall’audizione di venerdì scorso in commissione lavoro presieduta da Cecilia Pezza (Pd), nel corso della quale i rappresentanti delle ditte vincitrici hanno illustrato le loro posizioni.
Come riporta l’esponente dei Cobas (sin dall’inizio direttamente partecipe della vicenda come rappresentante delle Rsu) Giuseppe Cazzato, presente all’audizione, infatti, “nella parte finale, a precisa domanda di un consigliere, le rappresentanti delle ditte appaltatrici hanno dichiarato che i lavoratori non firmatari del contratto loro sottoposto dall’azienda non rischiano nessun tipo di licenziamento in quanto assunti a tempo indeterminato”. Non solo: l’impegno assunto direttamente in commissione lavoro è anche quello “di non presentare ai lavoratori nessun verbale di conciliazione da sottoscrivere”.
Dichiarazioni che fanno tirare un sospiro di sollievo ai lavoratori e che rendono l’atmosfera più serena, in particolare non dovranno convivere con l’incubo dei licenziamenti i 21 lavoratori che si sono rifiutati di sottoscrivere la risoluzione consensuale del contratto di lavoro. Ma sollievo anche per i lavoratori che pur avendo sottoscritto la risoluzione consensuale e firmato un nuovo contratto non si vedranno imporre i peggioramenti contenuti nel verbale di conciliazione.
Ma perché questa precisazione è così importante? Intanto, perché, com’è noto, su 69 operatori delle biblioteche comunali compresi gli archivi, 48 di loro hanno già firmato un contratto con le aziende aggiudicatarie in cui c’è un peggioramento oggettivo delle condizioni di lavoro (si rinuncia a 72 ore di permesso), mentre 21 si sono rifiutati.
Per dare un senso a una vicenda che si presenta molto complicata e le cui conseguenze attuali non sono che la ricaduta di alcuni fatti accaduti 7 anni fa, è necessario riprendere la storia dalle origini, avvalendoci della memoria storica del sindacalista Giuseppe Cazzato, che ha seguito passo passo la questione, e dei capitolati degli appalti stessi.
La nascita dell’ “appalto biblioteche”
L’ “appalto biblioteche” nasce nel 2007, sotto l’egida della giunta Domenici, assessore alla cultura Simone Siliani che, per l’apertura della nuova biblioteca delle oblate si era impegnato a incrementare la pianta organica dei dipendenti comunali prevedendo nuove assunzioni. Ma ben presto avviene un cambio di linea e Gherpelli, l’allora direttore della Direzione Cultura del Comune, annuncia ai sindacati la scelta di esternalizzare il servizio.
Nelle trattative che seguono fra Rsu e Comune, i rappresentanti sindacali riescono a impegnare il Comune su un punto importante: vale a dire, pur nell’esternalizzazione, il Comune si impegna a far avere ai lavoratori le migliori condizioni economiche sulla piazza. Intanto, avveniva anche un cambio ai vertici; al posto di Siliani subentrava come assessore alla cultura Giovanni Gozzini. La delibera che ne esce dichiarava che “dopo attente e scrupolose analisi” il contratto alle condizioni migliori era quello di Federcultura. E su questo presupposto veniva determinato il prezzo a base d’asta.
Si compie l’esternalizzazione del servizio
Di fatto, la situazione diventa la seguente: si passa dalla gestione diretta all’affidamento del servizio a privati; nel passaggio tuttavia i lavoratori avrebbero dovuto essere tutelati, grazie al “patto” fra gentiluomini che il Comune si era impegnato a rispettare. Tutto sembra procedere dunque per il meglio, anche se, a dire la verità, un piccolo “inghippo” c’è: mentre il Comune paga alle ditte vincitrici un costo orario tarato sul contratto Federcultura, ai lavoratori delle ditte viene applicato il contratto del commercio, che prevede condizioni normative e retributive di qualità inferiore. Ma nessuno dice niente, il Comune tace i sindacati pure, e si procede. Alla scadenza dell’appalto la situazione si presenta in tutta la sua complessità e crea preoccupazione nei lavoratori. Perché? Il contratto del commercio non prevede la clausola sociale e il Comune ha dichiarato di non volerla inserire nel capitolato . Con l’appalto già scaduto si va avanti di proroga in proroga fino a giugno scorso, quando l’ultima proroga del vecchio appalto va a termine.
E’ necessario un nuovo bando
Per rompere il circolo vizioso delle proroghe fu pubblicato un nuovo bando a gennaio. La situazione davanti a cui ci si trovava a questo punto era la seguente: il Comune pagava alle ditte aggiudicatarie 22,94 euro per ogni ora di servizio prestato, uno degli emolumenti più alti su tutto il territorio nazionale, mentre le stesse pagavano i dipendenti circa 11 euro l’ora (lordi) i livelli più alti e circa 8 euro (sempre lordi) quelli più bassi, così come prevede il contratto del commercio. Contratto che, come già detto, non prevede la clausola sociale.
In fase di preparazione del nuovo bando, i sindacati avanzavano la proposta al Comune di inserire la clausola sociale e l’indicazione del contratto di riferimento. Due obblighi per le ditte che assicuravano il “riassorbimento” dei dipendenti la prima, e li tutelavano da peggioramenti di condizioni lavorative la seconda. Un meccanismo che era già stato utilizzato per il bando dei servizi turistici, sempre dal Comune di Firenze e che dunque non sembrava avere difficoltà nell’essere accolto. E invece ….
Le prime discordanze: clausola sociale e contratti di riferimento
…. Invece, nonostante sciopero, presidi, richieste da parte di tutti i sindacati, appelli, il bando 2014 è stato pubblicato senza clausola sociale e senza contratto di riferimento come paletti. Sulla questione intervenne anche l’Avvocatura del Comune che su un quesito formulato in astratto rispose in astratto ribadendo che non potevano essere posti vincoli che erano di ostacolo alla libera concorrenza. Tuttavia, il problema non era se, secondo il codice, si poteva o no operare l’inserimento (questione astratta di facile soluzione), ma se, nella fattispecie particolare e a fronte dell’inserimento già avvenuto in un bando “gemello” come quello dei servizi turistici, si poteva percorrere la stessa via. Sta di fatto che il bando comunque uscì senza i paletti richiesti.
In realtà, qualcosa era stato concesso: infatti, si prevedeva, se le ditte concorrenti si impegnavano a riassumere i lavoratori sarebbe stato assegnato un punto ogni 10 lavoratori fino ad un massimo di 8 punti per chi si impegnava a riassumerli tutti (segnaliamo che fornire le divise valeva due punti, come 20 lavoratori).
Ma procediamo. La base d’asta veniva determinata al ribasso, vale a dire a 22 euro l’ora, 94 centesimi in meno rispetto quanto pagato in precedenza dal comune. Si scatena finalmente la gara? …. No. Partecipa un unico gruppo di ditte, che offre un ribasso d’asta dell’11,12% abbassando il costo orario a 19,55 euro. Il nuovo raggruppamento che unico e solo si presenta alla gara, è formato da due vecchie conoscenze, Eda Servizi e Coopculture, vale a dire quelle che in precedenza già avevano in carico il servizio, più una nuova ditta, il Palinsesto, cui andrà circa l’8% delle attività, le stesse ditte affermano nel capitolato che si avvarranno anche della possibilità di ricorrere al subappalto. Insomma, appalto nuovo moglie vecchia.
Appalto concluso, si passa all’affidamento
Finisce qui? Affatto. Infatti, appena avuto l’affidamento, le ditte vincitrici si precipitano dai sindacati chiedendo loro di accettare una riduzione del 5% sul costo del lavoro. “Motivo – ricorda il rappresentante sindacale – il prezzo di aggiudicazione di 19,55 euro non garantiva, a dire delle stesse ditte che l’avevano fatta e pena loro fallimento, il pagamento degli attuali stipendi dei dipendenti”. Se non si arrivava ad un accordo le ditte minacciavano azioni unilaterali tra cui i licenziamenti collettivi (tra parentesi, è bene ricordare che a una ricerca, è emerso che un’azienda del gruppo aggiudicatario a Firenze, Coopculture di Mestre, ad aprile del 2013 ha avuto l’affidamento dei servizi museali e bibliotecari di S.Maria della Scala di Siena dopo aver offerto un ribasso sul prezzo a base d’asta del 24,99%, per un costo orario di 15,09 euro per i servizi di portineria, sorveglianza e biglietteria e di 16,50 euro per i servizi bibliotecari e organizzazione eventi, mentre per i servizi didattici sono 17,75 euro; tutti ben al di sotto dei 19,55 euro di Firenze di cui si lamenta l’insufficienza).
Dopo questo nuovo mattone le trattative sindacali procedono, ma le posizioni rimangono sempre distanti. “Inoltre – spiega Cazzato –sommando le richieste avanzate dalle ditte, la riduzione del 5% non è del tutto veritiera. Infatti, la somma delle le 72 ore di permesso a cui i dipendenti dovrebbero rinunciare insieme alle 24 ore di formazione a carico dei lavoratori fanno circa 100 ore. Queste 100 ore che vengono sottratte ai dipendenti rappresenta già il 6% in meno sullo stipendio. In più ci sono le riduzioni che incideranno direttamente nelle buste paga degli operatori. La riduzione del superminimo ai lavoratori dell’Archivio storico che comporta una perdita di 150 euro al mese, mentre per altri 3 lavoratori viene richiesto un delivellamento che comporta la perdita di 300 euro mensili”. Negli incontri successivi nessun sindacato, pur avendo posizioni più o meno “morbide” firma l’accordo.
48 lavoratori firmano la risoluzione consensuale e la contestuale riassunzione
Questo mancato accordo viene illustrato ai lavoratori in assemblea. La conseguenza è che, in assenza di accordo sindacale, le scelte diventano individuali. Nella stessa assemblea, viene fatta una votazione per verificare le scelte individuali, vale a dire quanti sceglieranno di sottoscrivere la proposta delle ditte con tutto quanto vi è connesso, e quanti no. E qui si muovono le ditte. Infatti, sotto la spinta di forti pressioni e la minaccia del licenziamento collettivo (figura molto difficile da mettere in atto se non dopo una procedura di mobilità in cui il primo passo è portare i bilanci al giudice per far accertare la sussistenza di uno stato di crisi), 48 dipendenti su 69 firmano una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro per essere poi riassunti a distanza di un giorno. Cui bono? Il contratto di riassunzione prevede la stessa ditta , le stesse condizioni, tranne la sospensione per due anni delle 72 ore di permesso.
Ventuno lavoratori non firmano e chiedono verifiche
Restano i ventuno lavoratori che non hanno firmato. Questi ultimi chiedono che sia il consiglio comunale e il nuovo assessore al lavoro Federico Gianassi a interessarsi della vicenda. Nello specifico, si chiede a Gianassi di intervenire a tutela dei 21 lavoratori non firmatari per evitare azioni unilaterali delle ditte. Non solo: a consiglio e assessore si chiede anche la verifica di quanto dalle stesse dichiarato nell’offerta con cui hanno vinto l’appalto. In particolare:
− di valutare la congruità dell’offerta rispetto al costo del lavoro;
− di valutare quanto dichiarato dalle ditte in ordine al subappalto.
Su quest’ultimo punto, infatti, sono i lavoratori stessi a informare di una modalità a dir poco originale: infatti 8 lavoratori dipendenti dalle ditte senior si staccano a vanno a svolgere la propria attività sotto l’egida della nuova ditta in subappalto. “Il subappalto prevede per sua natura l’acquisizione di servizi da parte di terzi – precisa Cazzato – non il contrario con la cessione dei propri lavoratori”.