Ovunque, in campo e nel dopopartita, ci sono state cose che fanno bene allo sport: dagli applausi tributati alla Viola dal pubblico bolognese, a interviste in cui (finalmente, in Italia!) si è parlato di calcio, e non di episodi o di arbitri. Garcia che si intrattiene sulla eccellenze di Nainggolan e di Pjanic ma che si dilunga anche sui miglioramenti che chiede loro; Mazzarri (addirittura lui, l’antipatico querimonioso!) che parla di moduli spiegando perché dall’anno prossimo vuol cambiare, che esalta e illustra i progressi di Kovacic, che ammira il De Rossi della Roma e dice di voler provare Cambiasso nella stessa posizione. Tutto bello, e tutto informativo e educativo.
Una nota stonata (e non da ora): Conte. Conte è l’allenatore della squadra italiana più importante. Dovrebbe sapersi assumere responsabilità non solo verso la Juventus (e già questo gli riesce poco), ma verso l’intero mondo che lo fa ricco e famoso. E invece è rimasto la scoria avvelenata di quella cultura che tutti si spera presto non ci sia più; quella del tifo infingardo, delle curve, degli ipocriti, degli opportunisti, di coloro che fanno la loro forza sulle debolezze altrui, la più eclatante delle quali è l’ignoranza. Conte non ha la cultura dei tecnici che stanno cercando di rinnovare il calcio italiano, come Montella o Garcia, e soprattutto non ne ha l’onestà. Ve ne confermo il profilo richiamando fatti assai significativi avvenuti quest’anno.
All’inizio del campionato, quando la Juve stentava in Champions e cumulava cinque punti di ritardo dalla Roma, Conte evidentemente se la vedeva bruttina. Va in conferenza stampa e accusa la società di avergli venduto Giaccherini all’insaputa, scaricando così le responsabilità di quell’incerto avvio. Non ha poi più commentato; neanche il fatto che Giaccherini sia da tempo riserva della squadra ultima in classifica in Premiership. Ma intanto la Juve aveva preso il suo passo da record, e allora quel lamento non contava più. Poi ci fu l’eliminazione dalla Champions. E lì accuse all’Uefa, che aveva permesso quella partita in condizioni proibitive (ma non doveva essere il Galatasaray la squadra più penalizzata, avendo da vincere su un campo impraticabile e poco più di metà partita da giocare?), e lamenti vari del solito “solo contro tutti”; fino alla gaffe con Capello.
Capello si era permesso di dire che il livello del calcio italiano “allenava” poco le squadre che poi andavano a giocarsi le Coppe; per una mentalità diversa, per un modo diverso di concepire soprattutto il gioco d’attacco. Conte risponde un po’ alla Renzi: Capello chi? Quello che ha vinto due campionati che poi sono stati revocati? Imbarazzo generale, tensione, ma soprattutto la conferma che la spregiudicatezza del “tifoso” Conte, tifoso soprattutto di se stesso, non ha limiti né etica. E guarda caso ora si torna su quelle osservazioni di Capello, e Conte le parafrasa (ovviamente nel suo italiano povero di lessico e di sintassi, e alla luce di una filosofia che non contempla il principio di non contraddizione) dicendo che il calcio italiano, ovviamente quello della Juve che ne è l’epitome, manca di esperienza e non è maturo per i grandi appuntamenti internazionali. Io mi meraviglio che la cosa sia passata senza commenti, e che anche qualche giornalista abbia assentito a quella assurdità.
La Juve è forse la squadra d’Europa con i giocatori che vantano più esperienza internazionale; campioni del mondo e d’Europa, vincitori di trofei a tutte le latitudini, qualcuno in odore di pallone d’oro (leggi Pirlo e Buffon). Davanti avevano un Benfica le cui glorie risalgono agli anni d’oro del “panterone” Eusebio, e la cui presenza nelle coppe (sempre nell’Europa di serie B) negli ultimi anni non pareggia la presenza della Juve. Allora, o aveva ragione Capello a dire che alle squadre italiane, e segnatamente alla Juve, manca l’abitudine a giocare un calcio diverso da quello vincente in Italia, o siamo alle solite panzane che assolvono Conte per dare la colpa “al calcio italiano!”. Io credo che finché ci saranno nello sport personaggi come Conte (cui, intendiamoci, certo non nego le capacità di ottimo tecnico), che perseguono la menzogna e fomentano i più bassi istinti, non ci sarà una vera educazione alla conoscenza del calcio né cultura sportiva. Fortunatamente noi abbiamo Montella, e sappiamo farci ammirare non soltanto per il gioco, ma anche per lo stile.
Alessandro Pagnini