Firenze – La lunga fila degli appassionati di teatro, ieri, ha incontrato sulla sua strada, attraversando “la più grande piazza di Firenze” sotto un cielo minaccioso e abbuiato dalla sera incombente, un gruppetto di figure ammantate di bianco, che distribuivano volantini. Erano i “fantasmi dell’opera”, come qualcuno dei passanti li ha definiti.
“Sì, fantasmi siamo davvero – racconta uno di loro, che non ha neppure le aperture per gli occhi – fantasmi senza nome e anche senza voce. Siamo qui a testimoniare la nostra non -esistenza con la prova della nostra esistenza”. Un po’ complicato? Bene, facciamo un passo indietro.
Intanto, le figure avvolte nel lenzuolo sono un gruppetto di quei 50 lavoratori che hanno perso il lavoro al Maggio fiorentino, dopo lunghe e estenuanti trattative con l’amministrazione. Degno di nota il fatto che per due di loro, donne, sulla soglia dei sessanta anni, non si è parlato di vero e proprio “licenziamento” ma di “prepensionamento unilaterale”. Nonostante ci fosse la possibilità di l’assorbimento in Ales, la cooperativa di servizi che entrerà in questo modo nel panorama fiorentino delle coop. La differenza? Qualche centinaio di euro in più di pensione, che significa spesso, specialmente se la famiglia è a monoreddito, la differenza fra campar bene o non arrivare a fine mese. Senza contare che, come commentano alcune lavoratrici, “questo è un segnale per chi ha le rughe in faccia: cominci a preoccuparsi”.
Ma ci sono anche altre storie. Ad esempio, quella di chi, dopo trent’anni di lavoro, scatti di carriera, raggiungimento di un livello alto (“tutto con olio di gomiti, eh” ci tiene a precisare) viene tenuto “a bagnomaria” con la promessa di un “lavoro” futuro. Insomma, messo fuori dal Maggio con l’impegno, scritto e sottoscritto, di metterlo sulla via di un’altra occupazione, è di quei “fortunati” assorbiti da Ales. Chiede qualche chiarimento sulle eventuali prossime mansioni e questo è il quadro: verrà occupato nelle mansioni che serviranno al momento (“tirare su è giù la saracinesca, ad esempio – racconta con ironia amara) senza tener conto dei trent’anni i passati, partenza da livello minimo, nessuna considerazione per le competenze. Un momento, ma lo stipendio sarà sufficiente almeno a mantenere un minimo di sicurezza famigliare? Insomma. “Qual ora si trovi una mansione, si parla anche di mille euro circa al mese. Però, con un figlio all’università (ultimo anno) e altre questioni famigliari, a quasi 60 anni, l’orizzonte che si prospetta è davvero sereno”.
Fantasmi, si diceva. Sì, e agli “scheletri” che emergono dall’armadio (il primo licenziato che è ancora in causa e in primo grado ha ricevuto sentenza di “licenziamento illegittimo”) si uniscono altri particolari. Ad esempio, le lavoratrici e i lavoratori che hanno, negli anni, assunto di fatto (e con riconoscimento da parte di altri enti) posizioni di responsabilità (ad esempio nell’Ufficio scuola) e che sono sempre stati retribuiti al disotto della loro mansione effettiva, o anche al fatto che interi settori di attività di cui s’è annunciata la dismissione, continuano invece a lavorare.
Senza contare che poi un problema enorme c’è, è riguarda tutta l’anima e la filosofia del Maggio. Si parla esattamente della fine di quella “cultura artistica diffusa” che fa di un’opera “prodotta” qualcosa di infinitamente diverso rispetto a un ‘opera “programmata”. Cosa significa? L’opera prodotta è la summa di una serie di capacità artigianali che vanno dal lavoro dello scenografo, dipintore di scene, tecnico del suono, luci, senza dimenticare trucco e costumi e molti altri aspetti. Tutta “roba” che s’impara con umiltà e dedizione nel corso degli anni, con capacità e virtuosismo, e che per essere valorizzata si deve “tramandare”. Tutta “roba” che fa cultura, che fa teatro. E i tagli, gli “assorbimenti”, i “traslochi” il mutamento di funzioni, i prepensionamenti e la mobilità fanno letteralmente piazza pulita di tutto ciò. Insomma, è vero che la “scatola” è cresciuta (dal vecchio teatro al nuovo), ma il problema è : e se resta vuota?