Pisa – “Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio”. (Oriana Fallaci, “La Rabbia e l’Orgoglio”, Corriere della Sera, 29 Settembre 2001)
Anche se l’Arno ha mantenuto la sua sfumatura verdognola, senza ingrigirsi nei colori autunnali, ho la sicurezza d’aver passato la metà di Settembre. Non l’ho trovata nel vento che raffredda i raggi del Sole, né seguendo con lo sguardo le funeree facce di chi ha già fatto ritorno in università. E’ merito dello speciale di Mentana, su La7, di circa una settimana fa. Forse del riempitivo letto sul Corriere della Sera, tre giorni fa. Sicuramente sono stati i Social da venti giorni a questa parte. Quest’anno ricorre inoltre il decimo anniversario della sua morte.
“Oriana Fallaci”, “La Fallaci”, “L’Oriana”, a proposito e a sproposito. Ovunque. Poi, d’improvviso, più niente. La cosa non mi stupisce. La riesumazione intellettuale di uno scrittore nasce e si consuma in sette giorni o poco più: con l’11 Settembre e la commemorazione di quell’orribile giorno, torna per poco Oriana Fallaci. Va riconosciuto, ad ogni modo, che l’anno trascorso da Settembre 2015 è stato particolarmente proficuo per la memoria della scrittrice. L’onda “Fallaci” ha toccato vari lidi, i seguenti.
Ottobre 2015, esce per Rizzoli “Pasolini, un uomo scomodo”.
Mi ha sempre stordito il nesso tra i due, sin da quando a 16 anni lessi la lettera rivolta da Oriana a Pasolini, edita nel ’75 per l’Europeo. Se della Fallaci avevo letto praticamente tutto, di Pasolini continuavo a conoscer ben poco. E’ un fatto che quel poco mi bastava a ritenere quantomeno improbabile la loro amicizia.
Questo libro è sì la sintesi del rapporto con Pier Paolo, dell’inchiesta che Oriana condusse sulla sua morte, ma ha il merito particolare di scucire, quasi di nascosto, aspetti poco noti della Fallaci. Come, ad esempio, lo sguardo che gettava sulla classe intellettuale del tempo. Leggerlo, tra le righe, è stato un piacere.
Giugno 2016, esce per Rizzoli “La paura è un peccato”.
Lettere. Dediche. Istantanee intime dei suoi viaggi fisici e mentali. Pubblici e familiari. La sensazione è quella che immagino debba pervadere un archeologo sul sito di scavi. Non è più una lettura tra le righe, bisogna scavalcare le parole e la punteggiatura: scavare, per l’appunto. Illuminare le stanze caotiche di contraddizioni in cui la mente di Oriana alloggiava. Le scoperte sono sensazionali.
Settembre 2016, “Piazzale Fallaci”.
Oltre al rendez-vous annuario per giornalisti, intellettuali, comici e gente comune, è da poco avvenuta l’intitolazione a Oriana di un piazzale a due passi dalla Villa Medicea “La Petraia”, a Firenze. Presenti il sindaco Nardella, Ferruccio De Bortoli, Giangiacomo Schiavi e Edoardo Perazzi, nipote della scrittrice.
I tre accadimenti m’hanno reso oltremodo felice. Ricordo bene quando mi presentai alla Maturità Scientifica con la tesina in mano. Sulla copertina capeggiava lei con sguardo sprezzante intenta a scattarsi un selfie allo specchio. Scrissi nell’introduzione di voler riuscire, un domani, in qualche modo, a mitigare lo sdegno nutrito da molti italiani per questa donna così straordinaria. Cercai con tutto me stesso di portare a galla i circa 40 anni di attività precedente a quell’editoriale infuocato che scosse tutto l’Occidente e le costò l’infamia intellettuale. Ora so che lo screzio si estinguerà nel suo stesso ardore. In barba alla Aspesi che tacciò “Intervista con il potere” di non recare notizia ma solo autocompiacimento per l’autore, e a Travaglio che “sì, scriveva da Dio, ma non era affatto una buona giornalista”.
E’ stato Paolo Mieli a fornire la chiave di volta al tutto, durante una presentazione del suo ultimo libro, “L’arma della memoria”, pubblicato a Ottobre scorso da Rizzoli. Sul sito della casa editrice, nella pagina dedicata, si legge “la storia è fatta di vinti e vincitori, ma non si tratta di categorie stabili: spesso le vicende di ieri sono riscritte a uso e consumo dei vincitori di oggi”.
Mieli ha ricordato che uno degli obiettivi del lavoro di editore è di non mollare l’eredità di chi combatte una battaglia solitaria. E’ un dato di fatto che ormai in pochi si identifichino con tutto quello che la Fallaci sosteneva intorno l’Islam, ma è un dato di fatto che in quel periodo lei vendeva 50 volte di più di qualsiasi altro autore italiano. Secondo il saggista, la trilogia de “La rabbia e l’orgoglio” dimostra che gli italiani in quel momento avevano capito qualcosa, in largo anticipo non solo sulla classe politica ma addirittura su quella dei colti. E fu così che questi ultimi insorsero. La “sinistra al caviale” dette inizio alla guerra dell’affossamento, ostracizzò Oriana nella xenofobia e nel razzismo.
Ahimè, spiega Mieli che quello stesso sinedrio oggi si dimostra per ciò che realmente è: un coacervo di conformismi, una casta che mai persegue la via più scomoda, moltitudine di bocche sbuffanti che quando qualcosa non va incolpano l’impopolare. E questo mi fa sperare. Il presidente di RCS è fermo nel trovare disumana l’obnubilazione di una forma di pensiero, solo perché controcorrente, ossia non sinistroide. E questo mi fa gioire. Si può non essere d’accordo, ma la democrazia impone di considerare e dare voce a chi è da solo in battaglia. Anche, o soprattutto, a costo d’essere impopolari. Questo mi commuove. Non era mai successo che un intellettuale di tale levatura e appartenenza politica si ergesse in difesa di Oriana Fallaci.
Ora, se Paolo Mieli persevererà nel solcare il mare tempestoso che si trova di fronte, apertamente, disinvoltamente, magari con seguaci come Enrico Mentana, l’appuntamento è tra 50, 60, 100 anni. Vale a dire quando la Fallaci verrà letta come oggi si legge, si adora e si critica lo stesso Pasolini.
Cioè discutendolo e riconsiderandolo a tutto tondo: non solo per Petrolio, per Ragazzi di Vita o per Scritti Corsari, nella completezza della sua opera. In una parola, studiandolo bene. In una parola, studiandola bene. Bisogna aver memoria degli antipatici.