Massa: primo intervento su valvola mitralica non a cuore aperto

Massa – È stato eseguito all’Ospedale del Cuore di Massa della Fondazione Monasterio, il primo intervento di anuloplastica mitralica su un uomo di 71 anni per via trans catetere.

Una procedura effettuata in una quindicina di centri al mondo, realizzata per la prima volta in Toscana, che ha permesso di effettuare, in maniera non invasiva, un’operazione fino a oggi eseguita a cuore aperto. Così la Fondazione Monasterio, nelle sue sedi di Massa e Pisa, si conferma nel 2015 il primo centro di emodinamica  in Italia per casi trattati con tecniche di cardiologia interventistica, con 4.205 interventi (seguita al secondo posto dal Centro cardiologico Fondazione Monzino di Milano, che ha trattato 4166 casi, del Policlinico Gemelli di Roma che ha trattato 3168 casi ed anche del San Raffaele di Milano con 3427).

L’ultimo miracolo in sala operatoria l’ha compiuto il team integrato cardiologico-cardiochirurgico diretto dal dottor Sergio Berti e dal dottorMarco Solinas, che con il supporto del team cardioanestesiologico coordinato dal dottor Paolo Del sarto ha operato un uomo di 71 anni affetto da insufficienza mitralica severa ed una grave disfunzione ventricolare sinistra. Utilizzando le tecnologie usuali, questo tipo di operazione prevede di aprire chirurgicamente il torace del paziente, fermare il cuore, eseguire l’intervento a cuore aperto e richiudere, lasciando una vistosa cicatrice.

Tale intervento prevede poi un periodo di terapia intensiva e vari giorni di degenza. Ecco come il team ha operato invece la valvola: attraverso un piccolo foro nell’inguine del paziente, il Cardioband è stato portato fino dentro il cuore attraverso un tubo di diametro inferiore a 6 millimetri; gli strumenti per operare la valvola, micro bisturi, passano da questo tubo, manovrati dai chirurghi ad un metro di distanza. ù

Su un monitor l’ecografista, l’occhio del chirurgo, proietta le immagini interne del cuore e guida la mano esperta dell’uomo, che opera senza mai toccare il paziente. E’ necessario un supporto ecocardiografico transesofageo di livello decisamente avanzato, perché di fatto è l’immagine ecocardiografica che guida gran parte dell’intervento.  Risultato: si riducono i rischi operatori e il disagio per il paziente, che dopo tre giorni è uscito con le sue gambe dall’ospedale, quindi meno giorni di degenza.

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