Pistoia – L’accusa del presidente dell’Associazione di Psicogeriatria italiana Marco Trabucchi, intervenuto ieri a Pistoia al convegno nazionale sui Centri Diurni, è di quelle che non possono essere lasciate cadere: troppa paura d’innovare, mentre la crisi della Sanità è dietro l’angolo, comporta di fatto l’abbandono alla solitudine degli anziani e delle persone fragili. Sommando poi la crisi della famiglia e l’innalzamento delle povertà, la frittata è perfetta. Eppure, gli strumenti per “sterzare” ci sono: ad esempio, un’equa politica fiscale, investimenti per favorire le nascite e valide strategie per i milioni di anziani non autosufficienti. E un riferimento preciso: il modello tedesco.
Tra i più autorevoli relatori del 7° congresso sui Centri Diurni Alzheimer, Marco Trabucchi, presidente l’Associazione Italiana di Psicogeriatria, cita non senza pessimismo i dati drammatici dell’Italia che invecchia: 13,5 milioni di anziani (il 21% della popolazione), già 2,5 milioni di ultrasessantacinquenni non autosufficienti, il quoziente tra persone attive e non in calo vistoso.
Il paese nella trappola della terza età e delle malattie degenerative. Professore, come se ne esce?
“Nessuno ha la risposta magica, ma è chiaro che occorrono subito politiche che favoriscano la natalità, anche se avranno effetti a lungo termine. Per l’oggi servono invece scelte forti capaci di prevenire le demenze. In mancanza di farmaci che ne evitino la comparsa, con pratiche salutari e curando malattie cardiovascolari e diabete se ne possono rallentare i tempi significativamente, quindi anche l’aumento dei malati”.
Oggi il peso dell’assistenza ai non autosufficienti ricade per l’80% sulle famiglie: 3,5 milioni di caregiver, per lo più donne, incluse oltre 800 mila badanti, in gran parte straniere con compensi in nero. Fa circa 8 miliardi di euro sottratti a bilanci familiari spesso molto magri. E lo Stato?
“Purtroppo in Italia manca una politica di tutela della non autosufficienza. È la scelta grave di un sistema di welfare che ha privilegiato altro. Cambiare non sarà facile, ma è necessario provvedere, anche considerando che la crisi della famiglia e la solitudine dell’anziano sono eventi che tendono ad aggravarsi e che renderanno sempre più difficile continuare con l’attuale sistema di assistenza. La crisi è dietro l’angolo”.
Centri Diurni (sempre pochi rispetto al fabbisogno) e RSA (le residenze assistenziali comunque molto costose) coprono parte della domanda. Chi non ha assistenza, se non dal volontariato, sono gli anziani soli. Una moltitudine senza speranza. Non è tragico?
“La mera denuncia degli aspetti negativi della realtà umana, anche in campo sanitario, rischia solo di indurci all’immobilità. Dobbiamo studiare, ipotizzare, sperimentare nuove soluzioni, con coraggio e determinazione nella speranza che alla fine anche la politica capisca l’importanza di queste tematiche. Purtroppo oggi c’è attenzione reale. I politici, anche al top, cincischiano dietro a banalità e stupidaggini”.
Nuove soluzioni: lei che cosa suggerisce?
“Dico che occorre costruire un nuovo ombrello protettivo intorno alla persona fragile, un insieme di servizi tra loro connessi e articolati. Tutto ciò in un’atmosfera che tuteli e accompagni, con il coinvolgimento di tutta la comunità. Si tratta semplicemente di organizzazione e di umanità nel nome della dignità dei malati”.
In Germania hanno approvato già 20 anni fa una riforma per l’assistenza continuativa agli anziani non autosufficienti (long term care). Francia e Spagna hanno fatto altrettanto nel 2002 e nel 2006, la Gran Bretagna due anni fa. L’Italia, già afflittissima dal calo delle nascite, è il solo grande paese europeo rimasto al palo. Secondo lei perché?
“Per un motivo molto semplice: perché abbiamo paura di innovare. E perché occorrerebbe una politica fiscale diversa, una più equa distribuzione della ricchezza, far pagare chi non paga”.
C’è chi sostiene che la politica ha derubricato il capitolo anziani a emergenza secondaria per privilegiare la lotta alla povertà. Ma non sono due facce dello stesso problema?
“Balle. In Italia non si sta facendo una vera lotta alla povertà. E poi tanti tra i poveri sono anziani. Insisto però sulla mancanza di una strategia per affrontare con una visione unitaria tutte le fragilità: indotte dall’età, dalla malattia, dalla condizione psicosociale, dalla provenienza da paesi lontani. Ma per avere una visione così completa bisogna prima di tutto combattere l’indifferenza diffusa, come ci insegna papa Francesco. Ma chi è disposto a scommettere che la sfida lanciata da questo grande leader risulterà vincente?”.
Dalla Germania arriva anche un modello solidaristico che sembra stia dando risultati importanti: tutti i lavoratori, dipendenti, autonomi, professionisti, rinunciano a uno o più giorni di ferie per assicurarsi un futuro tranquillo. È possibile anche da noi creare un fondo per gli anziani fragili?
“È ovvio che se la politica non governa i fenomeni sociali non si va da nessuna parte; oggi continuiamo a leggere che le pensioni nel nostro paese sono troppo alte. Figurarsi se qualcuno ha il coraggio di proporre un modello come quello tedesco che pure ha dato ottima prova di funzionamento”.