Grosseto – Lo scrittore e saggista Maurizio Pallante si è recato nei giorni scorsi a Grosseto, in occasione della presentazione del suo ultimo libro “Destra e Sinistra addio – per una nuova declinazione dell’uguaglianza” ed. Lindau, 2016, Torino.
Ed è qui che Stamptoscana, lo ha incontrato, ponendo alcune domande a un autore noto in particolare per aver sollevato un grande dibattito con una sua pubblicazione del 2007, “La decrescita felice” che ha fatto molto parlare e riflettere, e per aver dato vita al “Movimento decrescita felice”.
In un mondo in cui tutti propugnano l’idea che la nostra economia debba “crescere” e comunque si insegua sempre il segno positivo del nostro PIL, il movimento si pone in controtendenza e una spiegazione preliminare è d’obbligo. Cos’è per lei la crescita e la decrescita?
“Crescita e decrescita indicano un aumento o diminuzione di un quantitativo e non hanno nessuna connotazione qualitativa. Possono assumere una connotazione qualitativa se vengono riferite a fenomeni che hanno un valore e in questo caso il loro significato trasforma il senso in peggioramento o miglioramento che sono due concetti di carattere qualitativo. Se la crescita o la decrescita si riferiscono a un fenomeno che ha una valenza positiva, la crescita indica un miglioramento e la decrescita un peggioramento, e viceversa. Ad esempio, un fenomeno positivo: il numero delle persone che guariscono dal cancro. Se cresce il numero che guarisce dalla malattia è un miglioramento, viceversa no. E quindi la parola crescita e decrescita non hanno nessun significato di valore, ma possono assumerlo e entrambi possono significare miglioramento o peggioramento di un fenomeno”.
Allora come mai abbiamo questa propensione generale a considerare la crescita un valore positivo e la decrescita un valore negativo?
“Non esiste un modello che ci dica che la crescita è sempre un valore positivo né che la decrescita lo sia in senso assoluto. Mi aiuto con un esempio: se chiedo a mio fratello che ha una figlia di 4 anni “come sta mia nipote, cresce bene?” questa frase ha senso perché un bambino è normale che cresca; ma se chiedo a mio fratello, “ come stai, cresci bene?” mi prende per pazzo perché alla sua età non è più normale la crescita. Noi abbiamo la propensione a dare un senso positivo alla crescita perché viviamo in una società che mercifica tutto. Così trasferiamo un concetto che nasce in ambito economico a tutti gli aspetti della vita, perché ci dicono che dal punto di vista economico la crescita è un fatto positivo e la decrescita negativo. E quando si parla di crescita economica automaticamente si intende la produzione di bene e la fruizione di servizi. Più ce ne stanno e meglio è. In realtà c’è un parametro che misura la crescita, il PIL, un valore monetario e come tale non può misurare i beni prodotti, ma può misurare il valore monetario delle merci acquistate o vendute. E qui spesso si fa confusione, perché si parla di beni quando invece dovremmo parlare di merci. Due concetti diversi: i beni sono oggetti e servizi che rispondono a un bisogno o un desiderio, le merci sono oggetti o servizi che si comprano o si vendono. Non sono neanche l’opposto. Il contrario di merce è dono, il contrario di bene è qualcosa che non serve a niente”.
Si riferisce a tutto ciò che si spreca, dal riscaldamento al cibo che si butta?
“Esattamente. Faccio un esempio: il 3% del PIL è cibo che si butta (si compra ma non serve a niente). Se non sprecassimo più cibo il nostro PIL scenderebbe del 3%. Lo stesso discorso si può fare su una casa mal costruita che disperde energia attraverso finestre e pareti, serve a qualcosa? Scalda qualcuno? No, fa crescere il PIL”.
Allora questo benedetto PIL ci costringe in una sorta di bulimia consumistica per stare meglio?
“Non è così, perché il cibo che si butta va a finire nei rifiuti e comporta un costo. Una casa che consuma energia comporta un consumo maggiore di fonti fossili e quindi un depauperamento di risorse e un inquinamento maggiore. Ma le faccio un esempio ulteriore: se in inverno stiamo male e consumiamo più medicine incrementiamo il nostro PIL, se stiamo bene il PIL cala”.
Quindi più stiamo bene più l’economia decresce e va in recessione…
“No, c’è una differenza sostanziale tra decrescita e recessione, perché la recessione è la diminuizione generalizzata e incontrollata delle merci, la decrescita è la diminuzione guidata e controllata delle merci che non producono beni. Ossia ciò che è spreco. La decrescita non è mettere il segno meno davanti al PIL. E’ diminuire il consumo di merci che non producono beni. Per produrre merci che non sono beni ci vuole più tecnologia di quella che serve per non farlo”.
Qualcuno le avrà già contestato che con il suo ragionamento ci vuol far tornare indietro nel tempo. Magari diminuendo l’occupazione…
“Il contrario: l’unica strada per aumentare l’occupazione utile è la decrescita. Se ci fosse un governo illuminato, e promuovesse la ristrutturazione di tutte le nostre case per non sprecare energia, si creerebbero posti di lavoro utili. Posti di lavoro che si pagano da sé. Se riduco i costi di gestione, in un certo numero di anni potrò risparmiare e fare più investimenti. Oggi si cerca di uscire dalla crisi rilanciando la crescita, ma così facendo non ci sarà crescita”.
A questo punto entrano in gioco le ricette della politica, destra e sinistra si differenziano?
“La destra tedesca, guidata dalla Merckel, e che Renzi ha sposato in pieno, propone di aumentare l’incidenza del lavoro macchina. Due sono le scelte politiche: mantenere intatto l’orario di lavoro e di conseguenza la disoccupazione, o diminuire l’orario di lavoro con la conseguenza l’aumento dell’occupazione. Le scelte politiche di destra e sinistra abbiamo visto recentemente che non si differenziano. Inoltre, questa situazione caratterizzata dalla crescita tecnologica, aumenta l’offerta di merci e diminuisce l’occupazione. Questo processo nasce negli anni ’60 con il boom economico. Altro aspetto perseguito dalla destre è la riduzione del debito fatto pagare alle classi popolari. La sinistra, ma fa ridere parlare di sinistra, Renzi o la Merkel sono chiaramente di destra, ma pensando a Fassina che si ispira a Keynes, un liberale e liberista, propone anch’esso ricette ormai antiquate”.
Insomma destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia?
“Di fatto abbiamo oggi una sinistra che non punta più all’egualitarismo. All’epoca di Keynes non c’era l’effetto serra, ma anche tanti altri fenomeni che sono propri del nostro tempo. Riproporre oggi, a ottanta anni di distanza, le teorie di Keynes non ha nessuna attinenza al reale. Oggi l’aumento del debito monetario è solo nei confronti della natura. Produciamo troppe emissioni velenose. Noi stiamo già mangiando oggi nel piatto dei nostri figli e nipoti, facciamo pagare loro i debiti che noi facciamo adesso. Su questa strada l’unica maniera per uscire è la decrescita. Ossia dobbiamo far pagare i costi conseguenti alla crisi alla riduzione dei costi in conseguenza alla riduzione degli sprechi. Altra strada è quella di aumentare la produzione e il consumo dei beni che non vengono comprati o venduti”.
Si riferisce a chi mangia quello che produce? Io per esempio mangio frutta e ortaggi che produco nel mio terreno, bevo il vino della mia vigna e così l’olio…
“…. e lei è un asociale! Perché non va a comprare quello che le occorre e la sua scelta di vita fa diminuire il PIL”.
Quindi, mi sembra di capire che oggi sia la destra e la sinistra facciano molta demagogia e che tanto per tornare al titolo del suo libro, non si differenzino più tra loro e, almeno la cosiddetta sinistra non persegua più l’uguaglianza sociale.
“Destra e sinistra sono nate nel Settecento, nel momento in cui c’è il passaggio tra la civiltà pre-industriale a industriale ed entrambe sostengono che questo passaggio è un progresso; nascono dalla stessa radice culturale. La sinistra si poneva a sinistra dell’assemblea e si distingueva perché voleva una maggiore uguaglianza e equità sociale. Questo secondo Bobbio era l’unico elemento discriminante. Hanno assunto carattere politico in quanto coloro che si ponevano a sinistra volevano miglioramenti e quelli che volevano che tutto restasse com’era si ponevano a destra. Ma entrambe, nel passaggio dalla economia preindustriale alla industriale tendono a produrre merci per fare denaro. La destra, per far crescere l’economia propone il libero mercato, la sinistra ritiene invece che è necessaria la programmazione dello Stato. Questo scontro è durato due secoli, alla fine è stato vinto dalla destra e il punto culminante coincide con l’abbattimento del muro di Berlino. La destra, obiettivamente, fa crescere di più l’economia e la suddivisione ingiusta dei profitti consente di aumentare la quota dei profitti che viene investita perché diminuisce la quota dei profitti che va ai consumi. Se invece si cerca di fare scelte più giuste aumenta la parte dei consumi, ma diminuisce la quota destinata agli investimenti. Un’economia più ingiusta aumenta i consumi, produce più investimenti e aumenta la crescita. Nel far crescere l’economia la sinistra è strategicamente perdente. La destra, proprio perché più ingiusta, riduce l’intervento dello stato e lascia mano libera al privato. La sconfitta della sinistra è la sconfitta dell’interpretazione storica che la sinistra ha dato al concetto di uguaglianza”.
Allora, c’è qualche nuovo modo per declinare il concetto di uguaglianza nella nostra società?
“Non ho la presunzione di dare ricette, ma posso invitare a fare delle riflessioni: non ci può essere più equità tra gli esseri umani se non c’è rispetto e convivenza tra tutti gli esseri viventi. Bacone diceva che la schiatta umana deve prevalere su tutti gli altri esseri viventi. Il risultato di questo pensiero ha portato oggi ai disastri ecologici. Deve quindi essere riequilibrato il rapporto tra gli esseri viventi. Un altro spunto di riflessione è quello che non possiamo continuare a comportarci a danno delle generazioni future. Tutte le politiche Kenesyane sono a danno delle generazioni future. La cultura contadina, fondamentale da questo punto di vista, rappresenta oggi un esempio che dovremmo perseguire: l’uomo mangiava i frutti di alberi che altri avevano piantato, oggi noi mangiamo nel piatto dei nostri nipoti. Quindi non ci può essere equità se guardiamo solo al nostro interesse e non teniamo di conto dell’altro. Altra riflessione è che l’equità non si misura con i soldi….”.
Mi scusi se l’interrompo, ma penso fortemente all’Amiata, che sta per essere e in parte lo è già “riempita” da industrie geotermoelettriche. Si dice che tutto ciò porterà “crescita”, ma intanto il dato sicuro è che porterà crescita dell’inquinamento dell’aria e delle falde acquifere.
“Esattamente come l’Ilva di Taranto. Le acciaierie di Taranto le ha volute la destra e la sinistra: il ragionamento era ed è che l’operaio avrebbe disposto di più soldi del contadino, ma abbandonando l’attività agricola ci si è di fatto impoveriti. E purtroppo c’è stato un attacco all’agricoltura condotto in maniera sistematica in favore dell’industria che continua ancora oggi. Sia da parte della destra come della sinistra. Tutto ciò nella logica perversa che non debba esistere nessuno che non dipenda dal mercato”.
Dunque sembrerebbe che destra e sinistra siano finite, o meglio la sinistra ha finito per abbandonare l’obiettivo dell’equità sociale e appiattirsi sulla politica della destra. Ha ancora qualche proposta per uscire da questa situazione che appare insanabile?
“Un’ultima cosa da prendere in considerazione: credo nella forza direzionale della spiritualità. Se ci appiattiamo sui discorsi della produzione di merce come fine egualitario per avere denaro è un suicidio. La Chiesa da una parte sostiene la crescita economica come fatto positivo, dall’altro dice che non bisogna essere consumisti. Una vera contraddizione. Se produci sempre di più bisogna consumare sempre di più”.
Il grossetano Bianciardi, fino a Pasolini, si sono schierati contro il consumismo come strada che porta al degrado dell’essere umano…
“Infatti Pasolini ha indicato la via alla spiritualità. La spiritualità non vuol dire fede. La fede è credere in qualcosa che non è dimostrabile, ma senza la spiritualità non vi è la fede. Viceversa la spiritualità non presuppone la fede, è una forza straordinaria, rende l’uomo libero dalle scelte del mercato, dal consumismo. Ci sono persone con grande spiritualità che non sono religiose”.
In cosa consiste per lei la spiritualità?
“Consiste in due cose: nel riscoprire la possibilità di avere dei rapporti umani non basati sul denaro. E qui entra in gioco il dono, ossia offrire la propria opera senza un corrispettivo. Questo scambio non basato sul denaro crea disagio sociale. Non a caso la destra e la sinistra hanno fatto la guerra alla cosa pubblica, perché non girando il denaro non fa crescere il PIL ossia la crescita della produzione delle merci e non dei beni. Il dono è basato sull’amore, è la spinta che ha indotto don Milani a dedicarsi ai bambini di Barbiana che la scuola pubblica aveva scartato. Lo ha fatto per amore, per giustizia, per equità. Sì, se riscopriamo questa dimensione spirituale possiamo liberarci dalle regole di dipendenza del mercato e capire che l’equità sociale si realizza anche sulla base di questo tipo di rapporti”.
Foto: Silvana Grippi per www.ecovillaggiohabitat.it