Mostra: il realismo magico di Pietro Bugiani

Firenze – Occorreva  che Pistoia  fosse capitale della cultura  nel 2017 perché si tornasse a parlare di Pietro Bugiani (Pistoia 1905—1992), disegnatore, pittore, decoratore raffinato. Una vita vissuta a contatto con la realtà culturale dei suoi tempi, dalla frequentazione dell’Accademia di Belle Arti, con Felice Carena, suo maestro; alla prima mostra, a soli  vent’anni; agli artisti del gruppo del  “Selvaggio “.-. il “Selvaggio “ di Maccari , dopo l’ “Addio al passato”, cioè l’allontanamento dall’ ortodossia fascista .-. dove conosce non solo Rosai ma Lega, Morandi  e i giovani artisti degli anni Trenta liberati da un’osservanza ideologica restrittiva.

E ancora tutto l’ambiente  letterario che ruotava intorno al Caffè delle Giubbe Rosse. Con tutto ciò, specie col passare degli anni, il cuore e la mente di Bugiani  restavano nella campagna pistoiese delle sue origini , assorbita insieme alla  cultura del padre, umanista e musicista.

Ma due furono i momenti cruciali della sua formazione: l’incontro e l’amicizia col conterraneo Giovanni Michelucci; e, a Torino, durante il servizio militare, con Costetti e Casorati. Dal Michelucci , architetto e uomo di cultura, ebbe l’impulso e  la lezione fondamentale: la necessità  della conoscenza e dello studio approfondito dei cosiddetti ‘Primitivi’, Giotto in testa, e del Quattrocento fiorentino, di cui l’architetto si fece guida personale per il giovane  Pietro, attraverso i musei fiorentini. Fu uno studio e un’amicizia  che durò tutta la vita .

Da Giotto, e da tutto il Tre-quattrocento toscano, Bugiani  prese quello che Soffici definiva essenziale per un pittore: il disegno, la composizione, la pittura, unitamente al dialogo con la natura, poeticamente sentita. Così i suoi paesaggi divennero volumi netti, in uno spazio ben determinato,  disegnati col rigore di miniature. Insomma  .-. come ebbe a scrivere Lara Vinca Masini.-. un distillato della realtà fino a rasentare una sorta di realismo magico.

Esempio per tutti: la ”Madonna dal manto  rosso”. La donna, seduta su una pietra  ocra, con la collina bruna di sfondo e il cubo della casa in lontananza, è tutta raccolta nel rosso del mantello,  che è protagonista di tutto il quadro, negli elementari e pur difficili contrasti cromatici. La stessa  lezione pittorica è  ripetuta, con ancora più decisione, nella “Madonna in Preghiera” : la figura taglia il paesaggio con la forza di un incisione xilografica come in certe incisioni essenziali di Pietro Parigi.

Nel “ Mulino di Bure “ e in altri simili paesaggi, i volumi risultano come intagliati in pietra dura per la perfezione compatta  del disegno e   del colore, quasi monocromo.  Intorno a queste immagini , comunque mai fredde e  sempre tenere, invase di poesia,  regna un silenzio arcano: la luce sembra bloccata in ore antelucane, o in  colori autunnali,  rossastri, come  boschi di querce .

Bugiani dipinge lo stesso paesaggio per una vita, un po’ come Morandi gli stessi vasi, con una consapevolezza formale e  una sintonia profonda con la pittura dei grandi maestri: oltre a Giotto, l’Angelico, Masaccio, Piero.

Ciò nonostante il risultato, filtrato attraverso l’affettuosa complicità del pittore  con i suoi soggetti,  è talmente favoloso e sorridente  che in certi scorci di paesaggio la mente corre a Palazzeschi:  “tre casettine dai tetti aguzzi , un verde  praticello, un esiguo ruscello: rio Bò”.

Quanto alle figure femminili, molte di esse sono quasi ritratti dal vero, di sapore sofficiano, ma più intime e raccolte. Penso all’  “Attesa” , ritratto di  donna di una compostezza e serietà tutta contadina, che può sottintendere molte cose: la pazienza, la sopportazione, una contenuta  preoccupazione. Ma penso soprattutto alle  morbide figure di donna del cartone preparatorio per l’affresco dell’ “Adorazione dei pastori”, rivestite di grossi panni , piene  di materna affettività.

Bugiani fu, infatti, affrescatore di cappelle e chiese di provincia dove la necessaria velocità dell’esecuzione è affine al gusto del pittore per  il  disegno netto e semplificato, i colori ‘primi’, adatti a trasmettere messaggi chiari e un po’ favolistici, come le parabole evangeliche.

Insomma un artista  da rileggere con più consapevolezza storica e linguistica per i suoi messaggi comunicativi, da non confondere con certi post- rosaiani che hanno invaso il mercato del secolo scorso e banalizzato l’arte di un maestro severo come Rosai.

Foto: Pietro Bugiani, Natività www.pietrobugiani.com

 

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