Prato – Inaugurata ieri pomeriggio a Prato nei locali all’interno del piazzale dell’ex Campolmi, la mostra “La mafia siamo noi”, di Gerardo Paoletti, in collaborazione con Regione Toscana, Comune di Prato, Libera, Fondazione Caponnetto, Coop. Firenze,
Un importante evento per la città di Prato in occasione della “XXI giornata contro le mafie”, con il supporto di Virginia Fabrizi, presidente di Vivarte, didattica di arte contemporanea nata a Celle, che conobbe Gerardo Paoletti circa sei anni fa, nello studio di Federico Gori a Quarrata, quando ancora il suo progetto artistico contava pochi ritratti delle vittime della mafia e dei loro assassini.
Dall’incontro in quegli anni con Antonino Caponnetto, capo del Pool Antimafia, è nata la volontà dell’autore di dare voce a 92 volti,”per evitare la messa in scena di un solo cimitero di immagini”, le cui vite hanno segnato drammaticamente la storia d’Italia, “e ricreare un dialogo virtuale tra chi ha ucciso e chi è stato ucciso”.
I mafiosi sono disegnati a rilievo a differenza delle vittime e il loro linguaggio, frutto di ricerche in archivi Rai e internet, risulta “banale” nel significato più dispregiativo possibile, perché,fa osservare Paoletti,”dentro la banalità del male c’è il linguaggio mafioso” e il pensiero mafioso si riconosce immediatamente perché è di colui che si estranea sempre dal contesto in cui si trova ad operare, quasi come se a compiere il crimine fosse qualcun altro.
Cosí, dice l’artista, parlò sotto processo il mafioso Brusca, colpevole di più di 200 efferati delitti, al giudice che lo interrogava,”che se anche aveva fatto tutto quello di cui lo si accusava, in realtà anche lui aveva un’anima e in fin dei conti aveva obbedito agli ordini di Totó Rina e ai giornalisti, incontrando la sorella di Paolo Borsellino,Rita :”capisco lo sforzo che ha fatto questa donna ad incontrarmi, io che sono tra i probabili assassini del fratello.”
Emoziona il pubblico il caso del primo pentito di mafia Leonardo Vitale, iniziato alla criminalità mafiosa a soli vent’anni, “il mio unico crimine è stato quello di nascere in una famiglia mafiosa, dentro una società mafiosa che isola chi mafioso non è”, ma a seguito di una crisi mistica, dopo i primi due delitti, Vitale – continua Paoletti – denunciò alla questura di Palermo, nell’ufficio di Bruno Contrada, l’intero organigramma della mafia siciliana ( fu il primo a fare i nomi di Totò Riina e dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino) che venne processata a Palermo nel 1977: i capi furono tutti prosciolti per insufficienza di prove, mentre Vitale fu condannato a 25 anni di carcere commutati in detenzione presso il manicomio criminale dove scontò sette anni.
Intervistato dal giornalista Gio’ Marazzo,Vitale gli anticipò la sua morte, perché la mafia non dimentica e uccide anche se “io non vuleva esseri mafiusu”, e infatti cadde sotto i colpi di fucile il 2 dicembre del 1984, mentre tornava con la mamma dalla messa domenicale. Su di lui così si espresse Giovanni Falcone: “la giustizia mafiosa purtroppo ha funzionato molto meglio di quella italiana che non ha saputo ascoltarlo.”
Paoletti ricorda anche i volti dei bambini: Salvatore e Giuseppe Asta dilaniati il 2 aprile del 1985,insieme alla mamma Barbara Rizzo, nella strada che porta a Pizzolungo: obiettivo dell’attentato il sostituto procuratore Carlo Palermo, era infatti per lui l’autobomba posizionata sul ciglio della strada, che invece colpì in pieno l’utilitaria che aveva superato a una curva la fiat Argenta del magistrato, facendogli da scudo.
E poi le immagini di alcuni giornalisti uccisi perchè la loro informazione faceva paura al potere mafioso: Cristina, Rostagno, Francese, De Mauro, Spampinato, Impastato,
Foto: Virginia Fabrizi e Gerardo Paoletti