Firenze – Un Mediterraneo affollato di stereotipi e fantasie più o meno pruriginose quello che appare nell’”Italiana in Algeri”, capolavoro dell’opera buffa. Perfetti per raggiungere un’intensità comica che ha pochi uguali nel genere grazie al libretto di Angelo Anelli e soprattutto alla musica di Gioachino Rossini. Eppure, ogni nota del compositore pesarese e ogni parola del bravo librettista contiene una ambiguità che va nel profondo della sensibilità dello spettatore, di quello del San Benedetto di Venezia dove l’opera fu rappresentata nel 1813, ma anche di quello che ha assistito ieri 15 marzo 2016 alla prima al Teatro dell’Opera di Firenze.
La proposta dell’allestimento coprodotto nel 2010 dal Maggio musicale fiorentino, insieme con il Teatro Real di Madrid, Opéra National di Bordeaux e la Houston Grand Opera ha offerto al pubblico fiorentino la possibilità di vedere (o rivedere) lo spettacolo che Stendhal definì “la perfezione del genere buffo” e che la regia di Joan Font, le scene di Joan Guillén, la direzione di Bruno Campanella e un buon cast di cantanti hanno fatto di tutto per confermarlo.
Così, quel mondo costruito con il gusto coloristico degli artisti catalani, caratterizzato dalla presenza di cantanti, mimi e ballerini (eccezionale il leone – gattone di Xevi Dorca) in un ambiente scenografico che ricorda con discrezione anche le soluzioni della Fura de Bauls, accompagna, sottolinea, arrotonda l’intreccio comico e l’invenzione rossiniana mettendone in evidenza quella doppia lettura dalla quale scaturisce l’esilarante comicità dell’opera.
Un esempio per tutti, il momento in cui Isabella arringa gli schiavi italiani prima della conclusione della burla ai danni di Mustafà, bey di Algeri, l’aria “Pensa alla patria” dove l’ironia semiseria di Rossini viene resa evidente dal regista con la preparazione di quello che all’inizio sembra l’affusto di un cannone che dimostrerà il valore dei prigionieri e che invece si trasforma in un enorme fiasco di vino che alla fine sparerà coriandoli. Rossini in seguito non riuscirà a convincere nessuno della sua ansia patriottica perché quel momento che doveva essere epico è funzionale a rendere ancora più comica e paradossale l’iniziazione del turco balordo a “Pappataci”, mangia e taci.
Tuttavia l’Italiana in Algeri non è solo, né prevalentemente, il confronto fra una civiltà che ama la libertà, il rispetto per le persone e il sobrio godimento dei piaceri della vita e una basata sul dispotismo, la schiavitù, l’asservimento delle donne “nate solamente per soffrir, e solamente per servir”. Mustafà che ha “una sola idea in testa”, alla fine non è così “babbeo” e sta al gioco anche perché è curioso e rispetta i costumi e i rituali (anche quelli del corteggiamento) dell’altra sponda del Mediterraneo.
Prendiamola dunque così questa “sublime follia organizzata” (ancora Stendhal) e facciamo di Isabella una campionessa della composizione amichevole delle differenze fra due mondi che oggi sono di nuovo in conflitto fra di loro.
Ottimi attori del tutto entrati nel concetto della regia di Font, i cantanti (soprattutto Marianna Pizzolato, Isabella) hanno dato il loro contributo al successo dello spettacolo. Anche il fragile tenore Boyd Owen, Lindoro, aiutato da tutta la messinscena e dal direttore Campanella, che sembra promettere una migliore prestazione nelle repliche. Anche il coro maschile ha messo in evidenza delle eccellenti doti di mimo e di attore.
Foto: www.operadifirenze.it