Ditta chiude, mancano sei anni alla pensione. Famiglia senza reddito rischia la casa

Firenze – Una famiglia alla fame, e a rischio di perdere la casa. La storia di Giovanni, un fiorentino di 61 anni, è una di quelle che sembrano al limite del possibile, e che invece si scopre essere una delle tante anche in questa città, dove sembra, a un primo colpo d’occhio, che la crisi e i mutamenti epocali circa l’occupazione non abbiano avuto troppi rimbalzi.

A raccoglierla lo “sportello” sindacale dell’Usb. In sintesi, Giovanni, classe 1955,impiegato negli ultimi 20 anni presso una piccola ditta termoidraulica, circa un mese fa si ritrova all’improvviso senza lavoro. Una mattina il suo datore di lavoro ha infatti deciso di cambiare vita. Così, la saracinesca del fondo in cui la piccola ditta svolgeva la sua attività è rimasta chiusa. Giovanni e altri tre operai che vi lavoravano non hanno potuto fare altro che prenderne atto e tornarsene a casa.

La vita lavorativa del nostro artigiano-operaio non aveva avuto, fino allora, scosse tali da condurlo a rivolgersi a un sindacato: come racconta allo sportello, non ne aveva mai avuto bisogno: “Lavoravo volentieri e il mio datore di lavoro mi pagava regolarmente e a volte mi dava anche qualcosa sottobanco, insomma eravamo come una famiglia”.

Ma ieri mattina Giovanni aveva il cuore in gola. “A 61 anni chi mi assume?”. Intanto, aveva avanzato domanda per la Naspi. Di cosa si tratta? E’ la prestazione economica, istituita dal 1° maggio 2015, che sostituisce l’indennità di disoccupazione denominata Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI). È una prestazione a domanda, erogata a favore dei lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente l’occupazione, per gli eventi di disoccupazione che si verificano dal 1° maggio 2015. Per quanto riguarda la durata, è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni.

Ma oltre alla Naspi, Giovanni aveva qualche preoccupazione per il suo Tfr. Alla domanda d’obbligo, quanti anni di contribuzione avesse, ha espresso la convinzione di godere di almeno 37 anni di contributi. Primo sommario calcolo: il diritto alla pensione sarebbe maturato nel maggio 2022. Il che significa, in soldoni, per Giovanni e la sua famiglia, un’attesa di almeno sei anni. Di questi, solo una parte coperti dalla Naspi.

Ma il sindacato vuole esser sicuro, e mette in atto un altro controllo. Così, si viene a scoprire, indagando la sua posizione previdenziale, che il datore di lavoro negli ultimi 30 mesi, non ha versato i contributi. La maturazione del diritto alla pensione si sposta ancora, fino al 2023. Dunque, la situazione è: tolto il periodo di Naspi, quasi sicuramente 6 anni senza reddito, o al massimo con qualche lavoretto a nero.

Ma dove va a cadere questa mazzata? La situazione previdenziale di Giovanni si innesca su una famiglia che ne ha già sopportate tante. La moglie, sulla cinquantina, guarita finalmente da lunga malattia, rimane disoccupata per aver superato il periodo di comporto per malattia. Il figlio, quasi trent’anni, laureato e … disoccupato.

Non solo: questa famiglia, lavoratrice e onesta, ha anche comprato casa. Come? Con un mutuo. Un mutuo la cui rata, 450 euro al mese, deve continuare a essere versata per altri 3 anni. E, dice Giovanni, “la banca mi potrà togliere la casa, se non riusciremo a pagare le rate”.

Giovanni è una persona mite, come ci assicurano i sindacalisti: nessuna parolaccia, nessuna considerazione politica, nessuna protesta anche se la rabbia ogni tanto gli aveva tolto il respiro. Rabbia di chi ha lavorato una vita e nel momento del bisogno è cacciato nel limbo di chi non ha diritti, non ha tutele, non gode di garanzie. Il suo atteggiamento, quello di chi sembra quasi addossare “al fato” la sua situazione. Unico sfogo, quello del mite che se ne sta sotto il bastone: “Se mi vengono a prendere la casa non mi resta che ammazzarmi”.

Ci rivolgiamo a chi ha raccolto la storia, il sindacalista dell’Usb Stefano Cecchi. Possibile che in casi come questo non ci sia un salvagente, una tutela, non sia data una possibilità anche minima a una famiglia di riprendersi?

Eppure, come spiega il sindacalista, “si tratta di una famiglia che vantava un buon reddito, con la moglie che lavorava, si erano fatti una casa con mutuo in 25 anni, avevano fatto studiare il figlio fino alla laurea, insomma una famiglia normale come ce ne erano tante nel nostro paese, poi l’abisso e la fine di tante certezze”.

“Si tratta di una situazione che, in questo momento, è senza sbocco – risponde Cecchi – il problema di fondo è che di queste persone nessuno tiene conto: la politica è lontana, le istituzioni si preoccupano di banche e borsa ma non della gente. L’unica soluzione possibile ai tanti casi che vedono storie come quella di Giovanni sarebbe il reddito minimo garantito, che supporterebbe le persone in queste condizioni”.

Ma il problema illustrato dalla storia di Giovanni è più ampio e comprende un’ampia, amplissima fetta di italiani, e anche a Firenze, dove “sembra di trovarsi in una levigata vetrina dove le storie di disperazione non affiorano, sono brutte”, miete sempre più vittime. Ed è il seguente: il cambiamento repentino delle regole e lo sviluppo di un’economia che riparte senza produrre occupazione (nonostante i vari 0, … ciò che manca, come segnalano vari istituti di analisi, sono gli investimenti), sta facendo e in molti casi ha fatto il vuoto pneumatico di quella classe “di mezzo” che riusciva a campare dignitosamente col proprio lavoro, senza cadere nella miseria, salvaguardata da regole che ne tutelavano i “piccoli” ma essenziali “risparmi”. Insomma la middle-class, che comprendeva non solo colletti bianchi ma anche operai specializzati, è stata messa nelle condizioni di scomparire.

“Ormai è quasi banale dirlo – conclude Cecchi – ma non è banale il fatto che sempre più spesso, a Firenze, si rivolgano a noi persone e famiglie nella situazione di Giovanni. Di fatto, a 61 anni, riuscire a ritrovare lavoro sarà pressoché impossibile. E quei quasi sei anni senza pensione, cosa farà? La fame di sicuro, la casa a rischio”.

E cosa può fare il sindacato? “Non si può accettare questo stato di cose. Ci vuole un’ampia sensibilizzazione della gente per avere un momento di riscatto per queste situazioni, che stanno diventando sempre più numerose anche in questa città; Firenze sembra una vetrina, ma non lo è affatto: l’impoverimento del ceto medio e di tutta una frangia sociale che si colloca sull’orlo fra miseria e situazione economica modesta ma accettabile, si sta allargando a dismisura. Il rischio è quello di perdere tutto, anche la speranza”.

E per la famiglia in questione?

Mi rivolgo direttamente alle istituzioni cittadine, cui lancio un appello per avere risposte non di circostanza a questa famiglia. E come a lei a tutte quelle che sono state “sbattute” in queste condizioni dal “mutamento dei tempi””.

 

 

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