Pistoia . Un’immagine di sintesi efficace per rappresentare Pistoia è stata finora quella di una città nel buio del cono d’ombra provocato dallo splendore della vicina Firenze. Caso mai i pistoiesi si godevano lo stupore degli ignari ospiti di fronte all’inanellamento di vere opere maestre a partire da piazza del Duomo, fatta scoprire, volutamente, dall’affaccio panoramico che si ha uscendo da via degli Orafi. O si godevano la sorpresa di chi aveva scoperto tracce impensabili e opere di Pistoia in altre parti e musei del mondo.
Ora il primato di capitale italiana della cultura per il 2017 sembra togliere la città da questa marginalità, ma, paradossalmente, il riconoscimento è frutto – come riconosce lo stesso sindaco Samuele Bertinelli – di questo modo di stare appartata.
Città pesantemente contadina, anche se nella versione contemporanea del vivaismo, Pistoia ha un inconsapevole dono della misura, dell’operosità e del brontolio che fa sì che qualcuno sposti l’asticella sempre più in alto. Insomma, non si è contenti facilmente. Il premio è un riconoscimento alla normalità e non suoni diminutivo. Alla normalità di un patrimonio culturale poco spettacolarizzato e molto salvaguardato grazie, soprattutto, agli interventi della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. In pochi anni si sono restaurati la cupola della Basilica della Madonna dell’Umiltà, il Battistero, il fregio robbiano sulla facciata dell’Ospedale del Ceppo.
E la lista dei lavori in corso è ancora aperta. Un premio alla normalità dell’intervento di privati e mecenati assai lontani dalla vecchia logica -ma sempre ricorrente – del giacimento da sfruttare. Un premio, infine, alla normalità di un’amministrazione comunale che cerca di declinare la cultura non in modo a sé stante, ma nella trama della vivibilità quotidiana, dalle aree libere dalle auto ai percorsi pedonali, dai parchi a verde agli altri servizi pubblici.
Insomma, una città, per dirla con il titolo di un libro di due studiosi, di “monumenti abitati” perché vissuti, ancora una volta normalmente, dalla gente.
Per questo è un premio alla migliore tradizione della provincia italiana in un paese che ha un patrimonio culturale diffuso come l’aria e di cui troppo spesso, proprio per questa caratteristica, non ci rendiamo conto.