Papa Francesco in Sinagoga ha abbracciato i “fratelli maggiori”

Pisa – La sicurezza è altissima nei duemila metri che dividono la Basilica rinascimentale di San Pietro dal classicismo eclettico del Tempio Maggiore, è la distanza, incolmabile per secoli, che separa la Città del Vaticano dal Ghetto, il simbolo della cristianità da quello dell’ebraismo, in mezzo il Tevere. Il perimetro della zona rossa è delimitato da varchi e metal detector, l’area è blindata.

Prima di Francesco solo altri due pontefici hanno percorso quei due chilometri per varcare la porta della Sinagoga, aprendo un nuovo capitolo del dialogo interreligioso. Giovanni Paolo II fu il Papa che fece da spartiacque nei rapporti ebraico-cristiani, non meno rilevante in quell’occasione fu il ruolo dell’allora rabbino capo Elio Toaff. Poi la visita di Benedetto XVI nel segno della continuità con il predecessore. E ora Bergoglio ripete, con il suo stile, l’abbraccio con la comunità ebraica, coprendolo di nuovi significati.

Arriva in anticipo sul programma, sosta in preghiera alle lapidi poste all’esterno ed è accolto calorosamente con lunghi applausi, stringe mani e parla con la gente, riceve il saluto di pace: shalom. Risuonano i salmi nel tempio di Roma. Il Presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna parla di “panorama innegabilmente positivo nei rapporti tra cristiani ed ebrei”. Non è la fine ma l’inizio della fine di un rapporto per secoli travagliato e segnato, purtroppo, da pregiudizi e dall’antigiudaismo.

“È significativo che sia venuto proprio oggi” sono le prime parole di Francesco alla platea, nel giorno che celebra la giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Il vescovo di Roma nel suo discorso ricorda gli ebrei romani deportati nei lager: “Le loro sofferenze, le loro lacrime non devono essere dimenticate”. È la vigilia della settimana di celebrazioni per il “Giorno della Memoria”, Francesco ripete il suo messaggio: “No ad ogni forma di antisemitismo”.

In prima fila, in un Tempio gremito, i sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, le famiglie colpite dal terrorismo, le vittime di quell’orribile attentato alla Sinagoga nell’Ottobre del 1982, dove perse la vita un bambino di due anni, Stefano Gay Tachè. Per il Rabbino capo Riccardo Di Segni “La visita del Papa è un segnale molto forte che si oppone all’invasione e alla sopraffazione delle violenze religiose”. Pochi giorni fa sono state pubblicate le foto dell’atto di vandalismo al cimitero del monastero cattolico di Beit Jamal, nei pressi di Gerusalemme. Le croci delle tombe dei sacerdoti sono state divelte, “profanate”.

Un triste rituale che si è ripetuto nella notte di sabato quando è stata imbrattata la porta e il muro della chiesa della Dormizione. Mentre in Francia aveva luogo l’ennesimo episodio di razzismo ai danni di ebrei: a Marsiglia un insegnante è stato aggredito per strada perché indossava il copricapo ebraico, la kippah. Fondamentalismo e odio dilagano, non c’è angolo della Terra esente da questa ondata di terrore e violenza. Azioni compiute nel nome della religione per offuscare la convivenza pacifica e il rispetto per la diversità.

Il dialogo religioso è un processo in itinere, lungo e complicato, dove le “incomprensioni” non solo teologiche, da una e dall’altra parte, restano anche se tendono a sfumare. Intanto prende forma la dottrina secondo cui cristianesimo ed ebraismo, insieme, costituiscono un piano divino per redimere il mondo. In tal senso il Vaticano, lo scorso anno, aveva promulgato un documento di rifiuto delle dottrine che professavano nella conversione degli ebrei l’unica via alla redenzione. Similmente sul fronte rabbinico, molti, riconoscono la validità costruttiva del cristianesimo. Il legame tra cristianesimo ed ebraismo diventa giorno dopo giorno più forte, nella differenza dell’unicità nasce l’amicizia.

Alfredo De Girolamo
Enrico Catassi

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