Firenze – La poesia torna da protagonista sulle scene teatrali con il poeta che più di tutti usa il linguaggio popolare, la parola che deve essere detta “per denunciare la congiura permanente contro l’uomo che è destinato alla gioia”.
A Jacques Prévert, oltre gli stereotipi e le irrisioni accademiche, a colui che canta la speranza, il sogno, la semplice e nello stesso tempo complicata relazione fra un uomo e una donna, è dedicato lo spettacolo di Gabriele Lavia che ha inaugurato martedì 14 novembre la stagione del Teatro della Pergola (fino a domenica 19 novembre).
Un monologo di un’ora e un quarto su un palco allestito con pochi elementi scenici: la panchina degli innamorati, il tavolino della Colazione del mattino, un attaccapanni per il cappello della pioggia di Brest, una fila di lampioni stilizzati e una chitarra con la quale Lavia canta prima del sipario una delle più famose canzoni del mondo, Les feuelles mortes, l’offerta di Prévert e degli chansonniers francesi ai romantici di tutte le epoche. “C’est une chanson, qui nous rassembles…”: la voce di Yves Montand cura le ferite dell’anima.
Finale che riprende e conclude il filo del recital che porta il titolo di un verso della sceneggiatura scritta dal poeta francese per il film di Carné Les Portes de la Nuit: “I ragazzi che si amano, si abbracciano in piedi contro le porte della notte”.
E’ un viaggio di andata e ritorno per una generazione che ha sentito vicini le emozioni e i sentimenti delle poesie di Prévert: “A teatro non c’è magia a teatro c’è la poesia “, ha esordito l’attore e la poesia deve essere detta con sincerità e purezza di cuore, uno stato di grazia reso possibile dal linguaggio semplice, “dalle parole quotidiane” del poeta.
Si viaggia verso i fermenti culturali della Francia del dopoguerra, dei personaggi del grande cinema d’oltralpe come jean Gabin, Jeanne Moreau e Serge Reggiani, e dei gruppo di intellettuali guidati da Jean Paul Sartre, autore di un saggio “L’essere e il Niente”, nel quale il filosofo esistenzialista afferma che la vita è “una serie di apparizioni che rifiutano l’esistente”.
Per Prévert la vita è invece quella della “rosa che è senza perché, che è una tensione d’amore”. Da qui comincia il viaggio di ritorno attraverso i componimenti di Prévert che cantano il rapporto a due, l’amore e la sofferenza, l’odio e l’attrazione. Cet amour, forse la più famosa, (Cet amour, si violent, si fragile, si tendre, si désespéré), Chez la Fleuriste, Le désespoir est assis sur un banc, Déjeuner du matin, Paris at night (Trois allumettes une à une allumées dans la nuit”), Le pont Mirabeau e ancora la popolarissima Barbara (iI pleuvait sans cesse sur Brest), con la quale Montand soggiogava gli spettatori dell’Olympia, accolta da un grande applauso da parte del pubblico della Pergola, avvinto a sua volta dall’arte della parola di Prévert detta da Lavia: “Un poeta che non era speciale in un mondo nel quale tutti erano speciali, perché la sua specialità era quella di non essere speciale”.
Straordinaria l’interpretazione sulla panchina di Quand tu dors, la poesia dell’amore, nonostante tutto: lui dorme, lei ha l’insonnia. “Tutte l notti io piango tutta la notte e tu tu sogni , ma questo non può durare una notte certo io ti ucciderò”. Ma quando arriva l’alba ed è a me che tu offri un sorriso sorridi con il sole e io non penso più alla notte tu dici le parole sempre uguali ‘Hai passato una buona notte?’ e come ridestata io rispondo ‘sì mio caro ho dormito bene e come ogni notte t’ho sognato“.
A testimonianza della vena ironica dell’autore bretone, dissacrante, nemica di tutti i poteri e di tutti i conformismi, l’attore – regista italiano ha presentato Il ne faut pas (Non bisogna.. ); di quella più giocosa e surrealista Les quatre cents coups du diable (I quattrocento colpi del diavolo).
E’ un viaggio di ritorno ai giorni nostri, verso di noi pubblico tormentato e smarrito che riscopre attonito la bellezza delle Foglie Morte e il messaggio rivolto ai ragazzi, ma anche a tutti quelli che si amano: sono i sentimenti semplici (Maintenat j’ai grandi), che possono darti la gioia vera, quella che hai provato quando eri bambino.
Foto : Gabriele Lavia (copyright Filippo Manzini)