Dai migranti nasce Asahi, associazione di informazione e aiuto

Firenze – Un’associazione composta da migranti per i migranti. Si chiama Asahi, ed è solo l’ultimo step di un percorso che ha visto un gruppo di giovanissimi migranti, africani, costruire uno strumento capace di venire incontro ad esigenze primarie per tutti coloro che, usciti dall’inferno dei barconi, si trovano a dover affrontare quella che, almeno nelle intenzioni della maggior parte di loro, dovrebbe essere l’inizio di una nuova vita. Si tratta di migranti che non solo scappano dalla guerra, ma anche dei cosiddetti “migranti economici” o politici.

Nell’un caso, la fuga è dalla fame e dalla miseria, nonché dall’assenza di speranze di “riscatto” da una situazione spesso miserevole; dall’altra, si tratta della fuga da società organizzate secondo modelli non democratici ma dittatoriali. In ogni caso, ciò che si affronta quando si sbarca in Italia sono dapprima i centri che chiameremo di “raccolta” o meglio quei centri di permanenza in cui le persone provenienti dal mare passano sovente mesi, se non anni, “parcheggiati” in attesa di conoscere la loro sorte, fra cui anche la possibilità concreta di rimanere nel Paese di approdo.

“In realtà, la prima difficoltà da affrontare – raccontano alcuni ragazzi, africani, che hanno gettato le basi dell’associazione – è quella di creare integrazione e solidarietà fra africani”.
“Di fatto – dicono dall’Usb l’organizzazione sindacale cui si appoggia Asahi, che è composta anche di iscritti all’Unione sindacale di base – ciò che accade una volta che i ragazzi vengono immessi nei vari centri, è la riproposizione di divisioni politiche ed etniche tradizionali, che comportano il formarsi di gruppi e la frammentazione dei rapporti sociali interni”.

Dunque, prima mission della nuova organizzazione, creare rapporti interni che lascino alle spalle divisioni e intolleranze “esportate” dai territori di origine. “Un’operazione importante perché tende a creare consapevolezza e solidarietà fra i migranti”. Consapevolezza: questo è il secondo passo che si propone Asahi. Ed ecco il senso di quest’ultimo obiettivo: spesso, lamentano dall’associazione, le informazioni “passate” dai vari operatori delle organizzazioni dei centri (di solito si tratta di cooperative sociali) non sono esaustive o addirittura fuorvianti. “Ad esempio – dicono i rappresentanti dell’Usb, alcuni dei quali passati dai campi – è difficile ottenere informazioni chiare circa le possibilità, ad esempio, di iscriversi all’Università o di frequentare un corso di formazione, o semplicemente cercare lavoro”.

Un punto complesso, questo, dal momento che appena giunti in Italia, i migranti ottengono un permesso di soggiorno di sei mesi. Questo lasso temporale dovrebbe servire per inoltrare richiesta di asilo, ad esempio, o di permessi per rimanere in Italia come rifugiati o semplicemente per lavorare o studiare. Peccato però che i permessi che regolarizzerebbero in qualche modo la permanenza dell’immigrato in Italia sono lunghi e difficili da ottenere. Possono passare mesi e, se si considera che a una prima risposta negativa si può intentare ricorso, anni. E nel frattempo? E’ proprio questo il problema, dicono dall’associazione Asahi. “Ad esempio, si rischia di rimanere per anni (qualcuno anche tre) nei centri di identificazione e raccolta continuando a studiare l’italiano al primo livello. Il che significa sentirsi frustrati e non potere accedere a livelli superiori che poi conducono davvero a padroneggiare la lingua, con connesso accesso a studio e lavoro”.

Non solo. Un altro grosso problema, come denuncia anche l’Usb fiorentino, è la parzialità delle informazioni. “Ecco cosa significa – dice la rappresentante dell’Usb fiorentina che si occupa dei migranti e dell’associazione Asahi insieme ai ragazzi africani – che, per esempio, non vengono informati del fatto che nei sei mesi di attesa, possono non solo (come di solito) seguire corsi di italiano, ma anche cercare, compatibilmente con la capacità di comprensione della lingua, lavoro, fare formazione, iscriversi all’Università”. E chi è riuscito a conquistare un lavoro, italiano e pagato, e magari la patente, ha dovuto fare tutto da solo. Rischiando pure, come dicono dall’Usb, di essere penalizzato dalla sua “intraprendenza”.

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