Firenze – Per gli organizzatori, sono al primo posto dei dieci motivi per i quali la mostra “Il Cinquecento a Firenze” è imperdibile. Disposte come un grande trittico nella seconda sala, appaiono al visitatore che ha appena visto il Dio fluviale di Michelangelo appena restaurato e la Pietà di Luco di Andrea del Sarto: a sinistra la Deposizione dalla Croce di Volterra del Rosso Fiorentino (1521), al centro la Deposizione di Santa Felicita del Pontormo (1525-28) e, a destra, tornata a Firenze dopo mezzo millennio da Besançon, il Cristo deposto di Bronzino (1543-45).
Lo stupore è la stesso che il nostro visitatore provò nel novembre 2012 quando una mano felice mise a confronto i crocifissi di tre giganti, Michelangelo, Donatello e Brunelleschi all’interno del battistero di San Giovanni. Con un solo sguardo si poteva avere la immediata e illuminante percezione della poetica dei tre protagonisti del Rinascimento: lo stesso soggetto in stili, interpretazioni, sensibilità differenti ma altrettanto geniali.
Antonio Natali e Carlo Falciani, curatori della mostra di Palazzo Strozzi (21 settembre – 21 gennaio 2018), affermano che il loro obiettivo è stato quello di suscitare “riflessione” in una esposizione “difficile” perché affronta un periodo, la seconda metà del Cinquecento, su cui si sono scaricati pregiudizi e luoghi comuni. E che il loro metodo è stato quello “educativo e divulgativo”.
Ebbene quella seconda sala delle Deposizioni raggiunge pienamente lo scopo dichiarato. Spiega senza bisogno di troppe didascalie il momento di passaggio fra due epoche diverse. Lo scomporsi di un mondo che aveva raggiunto uno splendido equilibrio fra religione, intesa come fede e devozioni, e i grandi ideali umanistici.
Siamo negli anni immediatamente successivi all’avvio della Riforma protestante. Esattamente 500 anni fa Martin Lutero appese le 95 tesi sul portone della Cattedrale di Wittenberg aprendo un conflitto che portò alla Controriforma cattolica nel cui milieu culturale, politico e religioso lavorarono gli artisti ai quali è dedicata la mostra.
Le loro opere dimostrano che la controriforma non fu solo oscurantismo e repressione, come ha detto alla presentazione il cardinale Giuseppe Betori? E che anzi fu “esplosione di idee e novità e che quel pensiero che si contrapponeva alla nascente riforma protestante fu produttivo e non chiuso”? I curatori si sono dichiarati d’accordo, ma lasciamo la discussione agli esperti.
Torniamo nella sala 2 e guardiamo da vicino le tre Deposizioni. La prima, quella del Rosso, mostra una tale drammaticità di linee spezzate, di movimenti di colori che da sola esprime il culmine di una crisi. Più che una dolorosa e compresa deposizione sembra l’immagine di una battaglia per conquistare il corpo di Cristo. Con il Pontormo questa lotta è stata vinta, ma i volti dei personaggi (uno dei quali è stato scelto come logo dell’esposizione) hanno i tratti angosciati di un’esperienza traumatica: la divisione della Cristianità.
Voltatevi ora a destra, al Bronzino. La rassegnazione ha portato serenità quasi dolcezza. Ma c’è qualcosa di più, come una sorta di languore quasi sensuale. La crisi ha innescato la scissione fra sacro e profano, fra “lascivia e divozione” come affermano i due curatori . Una scissione che prelude alla modernità : “Lascivia e divozione – scrivono Natali e Falciani nel catalogo – s’adattano bene a sintetizzare due realtà, due visioni del mondo e persino due condizioni dell’animo, differenti e financo antitetiche, che tuttavia convissero, procedendo per vie parallele”. Non perdete questa mostra.