L’omaggio a Riccardo Conti dei politici “in jeans e blazer”

Firenze – C’erano tutti e non per formalità, convenzione o contiguità esistenziale. Riccardo Conti era uno di loro, membro eminente di quella generazione di politici/manager comunisti che portavano indosso simboli visibili del loro modo di interpretare il ruolo di prima generazione della sinistra italiana del dopoguerra. Un paio di jeans e un blazer blu: la giacca e la cravatta del manager e i pantaloni dell’operaio.

In diversi si sono messi questa “divisa” per dare nell’auditorium del Consiglio regionale l’estremo saluto al compagno che con loro ha compiuto il percorso della sua esistenza, morto il 6 settembre scorso all’età di 66 anni. Insieme a loro tante altre persone, amici, colleghi, militanti, ex collaboratori. E tanti giovani che gli intervenuti hanno indicato come un punto di riferimento costante nell’impegno politico di Conti e verso i quali teneva un atteggiamento “pedagogico e non paternalistico” .

Del resto era questo un elemento chiave della formazione di un dirigente del Pci e ne era anche la forza: sviluppare il senso critico, ragionare insieme, studiare e interpretare.  A questo continuo dibattere con se stesso e con gli altri Conti ha improntato tutta la vita, nell’impegno di politico, amministratore e intellettuale prima nel Pci e poi nelle formazioni che lo hanno seguito fino all’ultimo nato dalla scissione il Movimento democratico progressista – Articolo 1 di Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani ed Enrico Rossi.

D’Alema e Rossi c’erano nell’auditorium, così come Claudio Martini con cui Conti è stato assessore ai Trasporti. C’era anche Gianni Cuperlo che è rimasto nel Pd e che ha voluto ricordare le ragioni del suo dissenso con l’attuale segretario proprio sottolineando quell’aspetto del politico intellettuale che riflette e studia, del politico non banale, che non si affida agli slogan: “La politica non può essere al servizio del potere senza un pensiero in grado di giustificarne azioni e scelte”.

Un aspetto essenziale dell’attività del politico messo in luce anche da Michele Ventura con il quale Riccardo Conti ha condiviso l’impegno di una vita. Due fratelli di “una generazione di crinale”, secondo una delle ultime riflessioni di Conti: i figli della generazione dei combattenti per la libertà e la democrazia, chiamati al difficile compito di difenderle e di promuoverle, incaricati del compito immane di portare l’Italia verso rapporti sociali più avanzati.

Conti e i suoi compagni hanno cercato di dare il loro contributo accettandone la difficile responsabilità, scegliendo le vie che potevano percorrere secondo la loro visione del mondo e la loro formazione politica e culturale. Ventura ha fatto riferimento, per esempio, alla sua convinzione che per “Firenze filistea” era necessario porre mano “alla struttura” che ne favorisce la mediocrità e il ripiegamento provinciale e cioè la “rendita di posizione”.

“Non ce l’abbiamo fatta – ha detto Ventura – se non sotto alcuni aspetti”. Le disuguaglianze sono aumentate e il riformismo alla Conti secondo il quale “la modernità non può fondarsi sulla riduzione del livello di vita dei ceti popolari” resta una sfida per la sinistra.

Eppure, a vederli tutti insieme commossi per la perdita di uno di loro, questi esponenti della generazione in jeans e blazer non appaiono degli sconfitti. Sono quelli che hanno proseguito con onore la tradizione di umanità e di civiltà di questa città e di questa regione, cercando di seminare idee e valori che le rendono così meritevoli di essere vissute.

 

Foto: Massimo D’Alema entra nell’auditorium del Consiglio regionale

 

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