Firenze – L’intervento del sindaco Dario Nardella sull’Arengario di Palazzo Vecchio in occasione della celebrazione del 73esimo anniversario della Liberazione di Firenze dai nazifascisti.
La presenza di così tante persone oggi nuovamente in piazza è un bel segnale. È un segnale di partecipazione popolare e di cittadinanza attiva, ma anche un segnale di coesione, perché, a prescindere dalle idee politiche, dalle visioni culturali, dal proprio credo religioso, se c’è chi può protestare, fischiare e chi può applaudire vuol dire che c’è democrazia.
Rivolgo un pensiero affettuoso ad un caro amico, a un combattente, a un partigiano, a Silvano Sarti che non potrà parlare come di consueto e che ha vissuto in prima persona gli eventi drammatici e gloriosi della guerra partigiana. La Resistenza possiede un tesoro di vite esemplari come la sua, esempi alti a cui siamo debitori.
Caro Silvano rivolgiamo a te da questa piazza un affettuoso saluto, un augurio perché ti vogliamo presto tra noi, di nuovo forte, tenace e appassionato come sempre. Rivolgo, infine, un saluto fraterno al presidente dell’Anpi Luigi Remaschi, che per la prima volta da presidente è qui fra noi sull’Arengario di Palazzo Vecchio. Buon lavoro e in bocca al lupo presidente!
Le celebrazioni del 73esimo anniversario della Liberazione dal regime nazifascista avvengono nel ricordo di chi ha regalato la libertà a Firenze e ai fiorentini l’11 agosto 1944 come è stato ricordato in piazza del’Unità italiana questa mattina: i giovani partigiani e le giovani partigiane, tutti coloro che si sono prodigati per liberarci, anche con il sacrificio della vita in quei giorni decisivi, sono coloro a cui dedichiamo questo giorno.
Il filosofo Paul Ricoeur ha parlato di “rimemorazione”. Se commemorare il più delle volte appare infatti un atto retorico, un rituale talvolta vuoto nel senso negativo del termine, rimemorare significa al contrario rendere di nuovo presente quel passato, riconoscere e capire le ragioni di quel sacrificio, farle nostre, sentirci parte di una storia che altri hanno iniziato e che noi abbiamo il dovere di continuare, perché come afferma lo scrittore antifascista cileno Luis Sepulveda “Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”. Noi siamo ciò che scegliamo di ricordare.
Firenze, medaglia d’oro al valor militare, è stata la prima grande città d’Italia a liberarsi da sola e ad assumere l’amministrazione della vita cittadina. Onore al Gonfalone e alla sua medaglia, così come a tutti i Gonfaloni delle città che sono qui a rappresentare la vicinanza e la partecipazione.
La battaglia di Firenze appartiene non solo alla storia d’Italia, ma alla lotta dei popoli per la libertà, tanto da venir immortalata da un giornalista del Times come “la più dignitosa e la più drammatica delle liberazioni”. In essa i fiorentini espressero cuore, orgoglio, spirito di sacrificio, voglia di riscatto.
Basta scorrere i bollettini dell’epoca per accorgersi che la battaglia, protrattasi fino al 1° settembre, oltre che sui colli fu combattuta dentro Firenze, nel cuore della città, strada per strada, casa per casa. Per questo, con tutto il cuore a nome della comunità voglio ringraziare tutti coloro che oggi rappresentano le divisioni partigiane, le forze alleate e coloro che rappresentano le comunità a cui appartennero i soldati che partirono dall’India, dalla Nuova Zelanda, dal Nepal che combatterono in ausilio alle forze alleate. Do il benvenuto al nuovo console americano che è qui.
Protagonista di quel tragico frangente fu però la gente comune che dimostrò una straordinaria forza morale, con una partecipazione in grado di violare il coprifuoco e sfidare la furia dei tedeschi in ritirata. Non sarebbe del resto stata possibile la resistenza armata se non ci fosse stata attorno a quei ragazzi una larga adesione ‘sentimentale’, prima ancora che morale e politica.
La Resistenza di Firenze e della Toscana fu una delle pagine più memorabili della Resistenza italiana che a sua volta si inquadrava nel più vasto movimento di opposizione al nazifascismo sviluppatosi in Europa.
“La Resistenza è stato un gigantesco fenomeno di disobbedienza civile in nome di ideali superiori come libertà, eguaglianza, giustizia, fratellanza dei popoli”, così ha scritto Norberto Bobbio, bel libro ‘Eravamo ridiventati uomini’.
Una rivolta morale che metteva da parte la tranquillità del quieto vivere e l’indifferenza. Da quella lotta di resistenza, dal ‘no’ alla dittatura fascista discende la Repubblica.
Un significato che talvolta non dimostriamo di aver compreso fino in fondo. La nostra Resistenza è stata in primo luogo rinascita morale, delle coscienze. Nelle sofferenze di quei mesi infatti nacque un’altra e più alta idea di Patria, l’idea di una nazione di cittadini liberi e uguali. Da questo punto di vista la liberazione di Firenze è stata veramente il nostro secondo rinascimento e secondo risorgimento allo stesso tempo.
Tre anni dopo la fine della guerra, lo spirito della Liberazione prese la sua forma concreta e attiva nella Costituzione della Repubblica, ancora oggi una tra le più avanzate in Europa. “Dietro ogni articolo della nostra Costituzione – dichiarò il presidente partigiano Sandro Pertini – stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza”. La nostra Costituzione non è stata l’unico frutto prezioso della lotta contro il fascismo e il nazismo. Basti ricordare che dieci mesi dopo l’entrata in vigore della nostra Costituzione italiana, l’Assemblea generale delle Nazioni adottò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e due anni dopo i paesi membri del Consiglio d’Europa approvarono la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Identica è l’ispirazione di questi tre lungimiranti documenti.
Firenze come tutta l’Europa ha vissuto negli anni successivi alla sua liberazione un’epoca di crescita civile e culturale. Uno dei più illustri testimoni di questa rinascita è stato lo storico e intellettuale Carlo Ludovico Ragghianti, colui che ha ricordato come l’arte e la cultura del secondo Novecento nella nostra città e in tutta Italia avessero tratto ispirazione proprio da quella esperienza di liberazione.
Tuttavia, a più di 70 anni dalla liberazione del nazifascismo, abbiamo il dovere di chiederci se siamo stati all’altezza di quei sogni e di quelle speranze.
Andando nelle scuole, incontrando i giovani mi conforta personalmente scoprire che le idee di giustizia e di legalità, che hanno motivato l’azione dei partigiani, camminano oggi con le gambe di tante ragazze e ragazzi che vogliono un futuro migliore, che chiedono e meritano un Paese più giusto. La nostra città e la nostra Regione continuano ad avere perciò una precisa missione: quella di essere testimoni attivi di quegli ideali in un’epoca molto difficile e preoccupante segnata da un individualismo sfrenato ed egoista che appanna anche la memoria storica collettiva.
Oggi, nel pieno del secondo decennio del XXI secolo, si tratta non solo di combattere contro la ‘galassia nera’ in espansione, i neo fascisti del Terzo millennio, ma anche contro talune mentalità, certi falsi valori duri a morire, certi populismi che sembrano covare costantemente sotto le ceneri in tutta l’Europa. Assistiamo ogni giorno a segnali inquietanti, che non possiamo ignorare. L’Europa è già implosa una volta e può succedere di nuovo. La democrazia è un bene prezioso che va tutelato e custodito, mettendoci dentro l’impegno, la volontà, persino la creatività di aggiornarla alla temperie dei nostri giorni. La democrazia non è un dono che si riceve una volta per tutte: “È accaduto, quindi può accadere di nuovo”, ammoniva Primo Levi. Sempre più spesso infatti vediamo manifestazioni improntate al revisionismo e al senso di rivalsa con precisi scopi di propaganda politica. Se oggi liberi cittadini possono manifestare su ogni cosa è certo una delle conquiste della Liberazione, della Resistenza. Tutto ciò non ci spaventa, non ci impressiona, così come siamo consapevoli del rispetto che si deve ad ogni essere umano caduto in battaglia, ma allo stesso modo deve essere chiaro a tutti che la memoria non si basa sulla propaganda politica, ma sulla verità storica. E che la verità storica è anche una verità di storia collettiva e non dimenticheremo mai il solco che c’è tra chi ha combattuto per l’oppressione e chi ha combattuto per la libertà.
Per questo la politica oggi nel Paese e nelle città deve recuperare un suo ruolo di guida, di responsabilità, che non può abdicare alle lusinghe dei facili applausi, dei consensi a buon mercato. Deve riscoprirsi protagonista che illumina la strada. Per questo c’è bisogno di uomini e donne illuminati, che si sentano parte di una classe dirigente, in grado di coltivare un discorso collettivo di memoria, di partecipazione, di comunità, di società civile consapevole, di scelte civiche capaci di non nascondersi dietro a facili suggestioni.
Il cambiamento non può partire dall’alto. Il cambiamento può solo partire dalle comunità. Lo dico guardando tanti colleghi sindaci con la loro fascia tricolore che rappresentano tutte quelle comunità, proprio nel momento in cui avviene nel nostro tempo un cortocircuito virtuoso fra memoria, senso di appartenenza e futuro, uscendo dall’isolamento, dalla sensazione paralizzante della paura del ‘diverso’, riscoprendo invece, e prima, ciò che ci unisce. Lo dobbiamo alle donne e agli uomini della nostra comunità che hanno dato la vita per gli altri: ai partigiani come Aligi Barducci, ‘Potente’ e alle donne Anna Maria Enriquez Agnoletti e ai tanti partigiani che hanno difeso i ponti e gli acquedotti della nostra città; agli intellettuali come Piero Calamanddrei, Pippo Codignola, Enzo Enriquez Agnoletti e agli uomini di chiesa come il Cardinale Elia Dalla Costa, martiri di ogni età come i giovani di campo di Marte e i Carabinieri di Fiesole. Persone che hanno dato la vita per una regola assurda, violenta, disumana: quella della rappresaglia nazifascista. Non saremo mai all’altezza dei loro gesti se ci limiteremo solo alle enunciazioni e ai buoni intenti verbali.
Finisco con le parole di John Donne ripreso da Ernest Hemingway, il Nobel che era stato volontario in Europa già nella Grande Guerra: “Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso (…) Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’umanità. Così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana. Essa suona per te”. La campana squillata 73 anni fa alle 6.45 sulla Torre di Arnolfo oggi risuona qui per noi e ci ammonisce a non dimenticare.
C’è una Resistenza a cui siamo chiamati anche oggi; ed è la resistenza al torpore morale, all’insensibilità, all’individualismo materiale, ai piccoli egoismi, alla più sottile e pericolosa delle seduzioni effimere: l’indifferenza. Dobbiamo avere paura della paura e di questa in differenza. Questi patrioti che oggi ricordiamo, ancora ci interpellano, ci invitano a interessarci della cosa pubblica, a prender parte alla democrazia. Questa, per me, è una delle più grandi lezioni della Resistenza: uniti si può combattere e modificare la realtà, per quanto cupa e opprimente sia, si può costruire qualcosa che superi la nostra individualità. Solo insieme possiamo restare umani, persone che trovano il loro primario senso di vita nelle relazioni con gli altri. Solo dall’amore per la comunità e dalla sua memoria può nascere l’impegno civico. Memoria e cultura civica sono le basi della missione educativa che abbiamo nei confronti delle nuove generazioni.
Vorrei dedicare ai giovani questo 11 agosto: ai giovani che sono qui, ai tanti giovani che avrebbero voluto esserci e ai tantissimi giovani che oggi forse non sanno neanche cosa è e cosa è stato l’11 agosto per Firenze
Il nostro Paese ha bisogno di educazione alla cittadinanza. Nonostante provvedimenti normativi di sensibilizzazione, ad oggi l’educazione civica come materia obbligatoria non è presente nei curricula scolastici.
Data la nostra esperienza con il progetto delle ‘Chiavi della città’, che prevede ben 50 progetti ogni anno offerti alle scuole per approfondire i temi civici, di educazione alla cittadinanza, di conoscenza degli eventi storici che hanno visto nascere il nostro Paese, vogliamo avanzare oggi da Firenze, città libera e città che si è liberata, una proposta: una campagna per una legge di iniziativa popolare, o nelle altre forme che saranno possibili, con un articolato semplice che preveda l’educazione alla cittadinanza come materia obbligatoria in tutte le scuole dell’obbligo. Basta una norma.
Si tratta concretamente di superare i limiti economici imposti dalle leggi 169/2008 e 222/2012 all’insegnamento curricolare di queste discipline. Pur ribadendone l’importanza, con le linee di indirizzo ministeriali dette ‘cittadinanza e costituzione’, però non si è infatti trovata la forza di stabilirne la priorità attraverso lo stanziamento dei fondi necessari. Lo voglio proporre all’Anpi: sarebbe bello presidente iniziare dopo l’estate con questa campagna perché l’educazione civica è il presupposto che traduce la memoria in crescita e cultura.