Reggio Emilia – Siamo oppressi e angosciati da notizie e da immagini allarmanti, drammatiche, e perfino ripugnanti: guerre, stragi, bimbi bruciati vivi, innocenti annegati, fame e malattie, corruttori e corrotti, malavita, attentati, bullismo e stupri. Non per sfuggire alle proprie responsabilità verso il nostro prossimo o per ignorare i problemi che affliggono la nostra società, ma per avere un attimo di respiro, ci dobbiamo concedere di evadere dal contingente. Magari ritornando ai ricordi sui banchi di scuola.
L’anniversario della morte di un grande poeta ce ne offre la possibilità: centottant’anni fa, il 14 giugno 1837, a Napoli moriva Giacomo Leopardi, a soli trentanove anni. Vorrei qui ricordarlo a me e a voi riprendendo l’ultima parte del Canto Le ricordanze, composto a Recanati tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre del 1829.
Nerina è il completamento della figura di Silvia. Nei due personaggi il poeta, esprime la sua visione dell’amore, della fine della giovinezza, delle speranze deluse. Silvia rappresenta l’incanto dell’amore appena sbocciato, che si manifesta attraverso gli occhi ridenti e fuggitivi. Nerina è l’espressione dell’amore cosciente ed esprime l’amarezza di una giovinezza piena di speranza e seguita poi dalla delusione.
O Nerina! e di te forse non odo
Questi luoghi parlar? caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond’eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
E’ deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l’abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L’antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D’ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
La ricordo dal Liceo, insieme a molti degli altri Canti. Ma anche dopo, all’università, la leggevamo nelle notti passate, con i miei amici studenti, a discutere di tutto, arte, scienza, filosofia, con molta confusione, un po’ d’ignoranza e una giovanile arroganza; ricordo che Ennio, detto Matsuoka per una vaga somiglianza con il ministro giapponese dei tempi dell’infausto Patto Roma-Berlino-Tokio, oltre a Leopardi, ci ha letto La leggenda del grande Inquisitore.
Molti anni fa l’ho letta, con commozione, ai miei figli, e in seguito ai miei nipoti. Con le mie figlie a volte, quando siamo in macchina, ci cimentiamo nel ripetere le poesie imparate a scuola, non solo Leopardi, ma anche Carducci: non è gran che, ma ha un ritmo che facilita il ricordo. Ancor oggi, nonostante la memoria breve sia massacrata dalla vecchiaia, la memoria dei tempi lontani tiene ancora.
Il mio nipote catalano ha apprezzato molto Leopardi, che non conosceva dai suoi studi; ora conosce a memoria quasi tutto il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Sono orgoglioso di lui. Secondo me Nerina non esprime solo il rimpianto per ciò che non è più, ma anche l’intenso amore del Poeta per la vita.
PS – sto leggendo l’ultimo libro, interessante e impegnativo di Achille Occhetto. Concordo con lui, con Emanuele Severino e con Cesare Luporini: Giacomo Leopardi non è stato solo un grandissimo poeta, ma anche tra i massimi filosofi del tempo.