Dal voto britannico un colpo alla “Hard Brexit”: nuovo referendum?

Milano – Hard Brexit significa rifiuto da parte del Regno Unito di pagare quanto deve per gli impegni già contratti verso la UE e di accettare un accordo di libera circolazione delle persone (oltre che di libero scambio) come quello che lega all’UE la Norvegia. Questo era stato promesso agli elettori con il referendum sulla Brexit.

E proprio per puntare a questo, due mesi fa, Theresa May, sciogliendo il Parlamento, aveva chiesto agli elettori un mandato forte. Che però essi le hanno negato. Ora si dà il caso che, per tentare di restare in sella, Theresa May sia costretta a coalizzarsi con il Partito Democratico Unionista dell’Ulster, che ha impostato tutta la propria campagna elettorale sul mantenimento dell’apertura del confine e della libera circolazione (anche) delle persone tra Nord e Sud dell’Irlanda: che è come dire tra Regno Unito e UE.

Viene meno, dunque, la possibilità che il nuovo Governo – sempreché riesca a insediarsi e a camminare – si presenti a Bruxelles rivendicando un accordo di libero scambio delle merci ma senza libera circolazione delle persone. Per altro verso, le elezioni hanno rafforzato sia i Lib-Dem, europeisti senza se e senza ma, sia un Labour Party contrarissimo all’opzione Hard Brexit.

Nel nuovo gruppo laburista, come del resto in quello dei conservatori, sono molti i deputati contrari addirittura all’idea stessa della Brexit, hard o soft che sia. Il negoziato UK/UE riprende dunque, fra una settimana, con un UK non in grado di minacciare la rottura e una UE in posizione di molto maggiore forza rispetto a prima.

La Gran Bretagna ora può solo puntare sulla soft Brexit; il che la costringerà ad accettare le condizioni poste dalla UE. Per prima quella pregiudiziale, concernente il pagamento di quanto essa deve alla stessa UE. In quel modo, però, verrebbero clamorosamente meno non uno solo ma entrambi i motivi per cui la maggioranza dei britannici un anno fa scelse la Brexit: chiusura delle porte all’immigrazione e risparmio di risorse.

E a quel punto potrebbe persino apparire sensata l’indizione di un nuovo referendum, per annullare la scelta compiuta il 23 giugno 2016.

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