La città come filosofia di vita: leggere Tommaso Campanella

Pistoia – Dall’alba dei tempi gli esseri umani hanno sentito la necessità di dare vita ad agglomerati urbani, dai semplici villaggi dei nostri progenitori, fino alle immense metropoli oggi esistenti sulla Terra.

La configurazione di questi agglomerati non è mai stata casuale, basti ricordare il famoso Castrum romano impostato sul “cardo” e sul “decumano”, che dividevano gli accampamenti in quelli che sarebbero stati i futuri quartieri dell’urbe; o i più noti insediamenti medievali, sviluppatisi intorno alla chiesa cittadina, che svolgono oggi nella grande maggioranza delle città, la funzione di centro storico. L’impostazione di queste città aveva fini ben precisi ed andava ad influire sulla vita e sulle abitudini dei cittadini stessi.

Nella sua opera “La città del Sole” (1602), il filosofo Tommaso Campanella (1568-1639), ci fornisce una visione prettamente moderna di una società civile che basa la propria esistenza su determinati pilastri, la cui concezione e validità si esprimono attraverso la stessa struttura architettonica della città. Nel contempo, l’autore muove una profonda critica alle istituzioni a lui contemporanee, che soffocano la libertà del cittadino e non sono neppure in grado di garantirgli sicurezza e stabilità.

Campanella immagina un dialogo tra un cavaliere dell’ordine degli Ospedalieri di san Giovanni, detto quindi l’Ospitalario, ed un tale Genovese, Nochiero del Colombo, il quale, di ritorno da una lunga navigazione, racconta al primo di essere entrato in contatto con i Solari, abitanti della città del Sole posizionata sull’equatore, sull’isola “Taprobana” (probabilmente l’isola di Sumatra). L’Ospitalario, profondamente incuriosito, interroga il Genovese sui più disparati argomenti riguardanti tale luogo: dalla forma della città, cruciale per Campanella, alle tecniche di guerra utilizzate dagli abitanti, fino all’organizzazione scolastica ed educativa. La struttura di questa utopica città non è casuale. Essa si sviluppa attorno ad un colle ed è divisa in sette grandi zone delimitate da possenti mura le quali, man mano che si avvicinano alla cima, si fanno sempre più alte. Su ogni cerchia di mura sono rappresentate le scienze, le arti, più in generale, l’intero patrimonio di conoscenze di cui Solari sono depositari: si va dalle leggi di Euclide fino alla catalogazione di ogni singola erba e pianta.

Al centro della città, nel punto più elevato, è collocato il tempio. Esso è retto da un bellissimo colonnato e non vi sono mura che lo circondano. Dalle parole del filosofo si intuisce che il tempio centrale è un luogo comune, aperto a tutti, senza distinzioni tra  “eletti” e non eletti; il che si può ricondurre ad una particolare riprensione nei confronti del Cristianesimo e della Chiesa Cattolica contemporanea a Campanella, chiusa in se stessa, sospettosa e nel pieno della Controriforma. Sopra l’altare non vi è una divinità, un idolo a cui prostrarsi o sottomettersi, bensì un mappamondo dove tutti gli astri sono dipinti, e un altro globo raffigurante la Terra. L’interesse dei Solari andava dunque ben oltre la concezione espressa dall’uomo del ‘500: essi celebravano la conoscenza ritenendola l’unica via per la libertà. Da questa considerazione possiamo meglio comprendere il sistema educativo dei Solari.

La scuola cominciava a tre anni, era per tutti, obbligatoria ed accompagnava  l’individuo per il resto della sua vita. “Considerate la vostra semenza” diceva Dante per bocca di Ulisse nel ventiseiesimo canto dell’Inferno “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e conoscenza”. (Inf. XXVI, vv. 118-120). Le parole del sommo poeta sembrano riecheggiare in tutta la Città del Sole: persone sapienti, maestri, artisti, saggi e filosofi collaborano a stretto contatto in una gestione esemplare della vita quotidiana. Allo scetticismo dell’Ospitalario, che si domanda se chi è abile nelle scienze sia anche capace nell’arte di governare, il Nochiero risponde citando una frase dei Solari: “Più certi siamo noi, che un letterato sa governare che voi che sublimate ignoranti, pensando che siano atti perché son nati signori, o eletti da fazione potente”.

La città diviene, dunque, un luogo di elezione, di scambi vivaci, di ricerca e di studio. Non esiste la proprietà privata, né privilegi di classe, semplicemente perché non esistono le classi sociali e tutti i beni sono in comune. La povertà rende gli uomini vili, ladri, bugiardi, traditori, la comunione dei beni, invece, realizza la piena uguaglianza tra gli uomini.

La Città del Sole rappresenta quindi un esempio alternativo di comunità, un faro di speranza teso ad illuminare con idee avanzate e radicalmente democratiche, l’età buia della Controriforma, quando l’alleanza trono-altare minacciava di soffocare quegli ideali senza i quali il pensiero non può maturare né le arti possono fiorire.

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