Firenze – In occasione della Pasqua pubblichiamo la lettera del padre Gherardo Gambelli, missionario in Ciad.
Carissimi/e,
La festa della Pasqua che si avvicina è sempre un’occasione bella per condividere qualche dono spirituale, per far memoria dei “passaggi” del Signore nella nostra vita e lasciarci così attirare dalla forza della sua morte e risurrezione nell’esodo dalla tristezza del peccato, dal vuoto interiore e dall’isolamento. “La fede cresce ricordando”, ha detto recentemente papa Francesco in un bel discorso davanti ai parroci della diocesi di Roma. Come al solito, cerco qui di condividere qualche bel ricordo che ho potuto conservare durante questi ultimi tempi, che mi ha sostenuto nella fede.
Come saprete il Ciad sta attraversando una grave crisi economica, a causa della riduzione del prezzo del petrolio. Coloro che lavorano nel settore statale hanno ricevuto il salario soltanto pochi giorni prima di Natale e i soldi sono finiti rapidamente per saldare i debiti contratti nei quattro mesi precedenti in cui non erano stati pagati. Alla vigilia di Natale c’era un clima di scoraggiamento e di tristezza in molte famiglie della parrocchia, che provavano la delusione di non poter organizzare un po’ di festa per i loro bambini.
Ci siamo allora riuniti coi membri dell’equipe pastorale e abbiamo pensato di organizzare la festa di Natale per tutti in parrocchia. Qualcuno ha offerto due montoni e una capra, le comunità di base si sono organizzate per condividere la boule, il pesce, le verdure e i dolci e così abbiamo organizzato una bella e gioiosa “tavolata” parrocchiale. In Ciad si insiste molto sull’idea della chiesa come famiglia di Dio e, in alcuni momenti della giornata, si è percepito fortemente questo senso di fraternità e di amicizia della parrocchia come famiglia di famiglie.
Durante il pranzo noi preti abbiamo fatto il giro delle comunità per salutare e fare gli auguri. C’è stato un momento molto bello quando mi sono avvicinato a una giovane coppia che ha voluto fare una foto con me, insieme alla loro piccola bambina. Quando l’ho presa in braccio, lei è rimasta molto attratta dalla mia camicia che mi era stata regalata qualche giorno prima di Natale. C’era un bel disegno della Natività e non c’era verso di farla girare verso l’obiettivo della macchina fotografica, i suoi occhi erano fissi su quell’immagine. A un certo punto la mamma l’ha chiamata col suo nome e allora ha sobbalzato e si è girata con un gran sorriso che il fotografo ha potuto finalmente immortalare. Mi è venuta in mente una frase di Sant’Agostino che dice: “Quando si tratta di Dio, i pensieri sono sempre più esatti dei discorsi e la realtà più esatta dei pensieri”. La voce della mamma è un po’ come la voce di Dio che ci chiama a staccarci dalle cose visibili per aprire il cuore alle realtà più vere, quelle invisibili che sono eterne. Quella voce che ha fatto sobbalzare e girare la bambina mi ricorda anche la voce di Gesù nel giardino del sepolcro che chiama Maria Maddalena e l’aiuta a volgersi verso di Lui.
Durante il tempo quaresimale mi capita spesso di insistere su quella frase di Gesù che risponde al demonio citando il libro del Deuteronomio: “Non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. C’è un proverbio che dice: “Ventre affamé n’a pas d’oreilles” (“Uno stomaco vuoto non ha orecchie”). Mi piace completarlo dicendo che “un cuore sazio ha dei buoni occhi”. Quando ci mettiamo in uno spirito di ascolto attento, lasciando che la Parola del Signore discenda profondamente nel nostro cuore, riusciamo a vedere i segni dell’amore di Dio intorno a noi e a collaborare con gioia alla sua opera di salvezza.
Alla fine del mese di febbraio, passando un po’ di tempo al sud, ho avuto modo di percepire questi segni nella vita e nell’opera di una giovane suora comboniana di Bologna, Elisabetta Raule che lavora come medico chirurgo all’ospedale St. Joseph di Bebedja, nella diocesi di Doba. Con grande coraggio e tantissima dedizione lavora giorno e notte in un vero e proprio ospedale da campo. Recentemente, a causa dei conflitti fra agricoltori e coltivatori arrivano in continuazione, soprattutto la notte feriti gravissimi, corpi martoriati da proiettili, da spade, coltelli e frecce.
Durante la visita all’ospedale a un certo punto ci fermiamo nel suo studio e apre un armadio nel quale custodisce gelosamente tutta una serie di armi estratte dai corpi di persone che sono state accompagnate all’ospedale, spesso in fin di vita. Mi colpisce soprattutto un coltello lungo e acuminato a forma di freccia che mi racconta aver estratto dal corpo di un bambino. Gli chiedo se può regalarmelo, lei esita un po’ ma poi accetta. In un primo momento avevo pensato di mandarlo all’Arsenale della Pace di Torino, dove c’è un piccolo museo all’ingresso della loro chiesa, in cui si invita a meditare sul mistero del male e della violenza, attraverso tutto un repertorio di armi raccolte in varie parti del mondo.
Poi però mi è venuta in mente un’idea, ripensando a quel testo di Isaia che ha ispirato Ernesto Olivero, il fondatore dell’Arsenale della Pace: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci” (Is 2,4). Siamo quasi all’inzio della Quaresima e quando arrivo a N’Djamena chiedo al nostro fabbro di saldare la freccia su un pezzo di ferro in modo da trasformarla nel braccio orizzontale di una croce. È la croce che abbiamo utilizzato quest’anno per la via Crucis in parrocchia che ci premette di prendere meglio coscienza del Signore che prende su di sé la sofferenza, la violenza, l’ingiustizia e le trasforma in un atto di amore che guarisce (Is 53,5 “L’istruzione della nostra pace è su di lui per le sue piaghe siamo guariti”).
I segni più belli della redenzione si manifestano nel coraggio e nella determinazione delle persone che sanno reagire davanti alle difficoltà con una grande capacità di resilienza. Due esempi mi hanno molto edificato. Il primo è quello di un gruppo di donne della parrocchia che ha ricevuto un finanziamento tramite la Fondazione San Giovanni Paolo II per il Sahel e la Caritas italiana, per sviluppare un’interessante attività economica. Si tratta della produzione di panieri per la cucina che permettono un grande risparmio di tempo e di energia. Recuperando gli scarti del legno e valorizzando alcuni isolanti termici vegetali locali, le donne producono un paniere che permette di conservare caldi fino alla sera i cibi preparati al mattino e in, alcuni casi, di portare a termine la loro cottura. Si è sviluppata così un bella attività, che consente alle donne di uscire dal commercio dell’alcool. Con l’aiuto di Agata Smeralda stiamo costruendo un magazzino per custodire il materiale per il lavoro e per l’esposizione dei prodotti finiti per la vendita.
L’altro esempio è quello di Martin, un giovane universitario non vedente della nostra parrocchia. La suor Marie Hélène, Xavière francese, ha preparato un libro di canti per insegnare ai bambini della scuola primaria qualche nozione fondamentale della grammatica francese o della storia e della geografia del Ciad. Molti bambini che frequentano la nostra parrocchia purtroppo non vanno a scuola, a causa dei problemi economici delle loro famiglie. Abbiamo pensato così di invitarli alla nostra biblioteca nel pomeriggio per proporre l’iniziativa dei canti. Si è formato un piccolo gruppo che è stato affidato proprio a Martin. Lui viaggia sempre con una specie di tablet grazie al quale può facilmente prendere appunti e scrivere. Quello che mi sorprende di più è vedere l’attenzione, il rispetto e l’amore con cui i piccoli lo circondano, cantando a squarciagola la loro gioia di sentisi considerati come gli altri loro coetanei, almeno per qualche ora della settimana.
L’haggadà di Pesah ci ricorda che “ognuno è tenuto a considerare se stesso come se lui fosse uscito dalla terra di Egitto”. La memoria ci spinge sempre a guardare al futuro: “Siamo stati liberati per restare liberi” (Gal 5,1), cioè per collaborare alla libertà del nostro prossimo. Che sappiamo annunciare e vivere questa verità con coraggio, gioia e entusiasmo.
Buona Pasqua. Con amicizia, d. Gherardo