Firenze – “Difenderemo dal signor Trump e da qualsiasi altro (anche da chi nel nostro Paese talvolta si distrae) questo patrimonio dei nostri allevatori, che costituisce una ricchezza anche per il mangiar sano di tutti i cittadini, italiani ed europei ”. E’ una vera e propria dichiarazione di guerra, quella proferita da Antonio De Concilio, direttore di Coldiretti Toscana, circa la vertenza aperta dall’amministrazione Trump con l’Europa, rea di voler rispedire al mittente la carne americana “ormonizzata”. Una querelle che fatalmente ha una ricaduta molto pesante in Toscana, dove uno dei vanti culinari, come tutti sanno, è la famosa “fiorentina”, un piatto non solo tradizionale nelle modalità di cottura, ma anche prodotto con modalità particolari, che ne garantiscono, al di là delle scelte vegetariane o meno di molti toscani, una naturale salubrità. Così, come ricorda il presidente di Coldiretti Toscana Tulio Marcelli, a fine 2016 nella nostra regione erano censiti 87300 capi bovini segnando un +3,9% rispetto al 2015. Tra i capi macellati, la percentuale dei capi nati e allevati in Toscana è pari a circa il 37%. Tralasciando i capi che sono introdotti per la sola macellazione (circa il 18,6%, quasi tutti di provenienza francese), una percentuale rilevante (circa il 44%), è rappresentata da capi macellati dopo l’ingrasso in aziende toscane.
Ma il vero tratto distintivo della carne toscana, ricorda il presidente Marcelli, è che “l’allevamento del bovino da carne in Toscana è per lo più di tipo tradizionale, con allevamenti semi-estensivi di dimensioni medio piccole. Un terzo dei capi macellati è nato e allevato sul territorio regionale. In questi, la razza Chianina riveste sicuramente grande importanza sia per la sua diffusione, sia per la tipicità e qualità”. Altro che ormoni, verrebbe da pensare. Non solo: “Accanto ai marchi di tutela storici legati a particolari razze, insieme con l’Associazione Regionale Allevatori abbiamo istituito un nuovo marchio “Toscana-Toscana” – aggiunge il direttore di Coldiretti Toscana – per la valorizzazione di tutti i capi nati e allevati in Toscana, che sta acquisendo un crescente consenso, per garantire e promuovere la qualità anche dei capi meticci, che rappresentano un’altra quota significativa del prodotto locale”.
In generale, la “vertenza carne” aperta dall’amministrazione Trump non solo investe tuttta l’Italia (con uno degli apici per la Toscana), ma l’Europa nel suo complesso. Il timore maggiore risiede nella messa in atto, come ritorsione da parte degli Usa, di dazi punitivi del 100% sui prodotti europei. Atto che, per l’Italia e il suo mercato agroalimentare in forte espansione negli Usa, avrebbe un impatto fortemente negativo.
Ma ricordiamo qualche numero: la nuova politica potenzialmente “più protezionista” del neopresidente degli Stati Uniti metterebbe a rischio 3,8 miliardi di esportazioni di made in Italy agroalimentari in aumento del 6% nel 2016, secondo uno studio della Coldiretti dal quale emerge che si tratta in pratica del 10% del totale delle esportazioni agroalimentari italiane nel mondo (38,4 miliardi).
Se questo è vero in generale, nel particolare ecco i prodotti che verosimilmente finiranno nella black list statunitense: si tratta di 90 prodotti fra cui i tartufi freschi o refrigerati, i pomodori conservati in polpa o pelati come i San Marzano, le castagne e le barrette di cioccolata, oltre che le acque minerali come la San Pellegrino per un conto totale solo nell’agroalimentare di oltre 250 milioni di prodotti esportati. L’analisi è stata svolta da Coldiretti sulla base della lista non definitiva pubblicata dall’United States Trade Representative sul Registro federale. Segnalando che la controversia della mancata importazione di carne dagli Usa in Europa per la disputa sugli ormoni è iniziata con il ricorso al Wto nel 1996, i prodotti del Made in Italy maggiormente danneggiati dai super-dazi sarebbero dunque le acque minerali per un valore dell’export in Usa di 147 milioni di euro, seguite dalle polpe e dai pomodori pelati per 78,9 milioni di euro, i tartufi freschi o refrigerati per 9,7 milioni di euro, le castagne per 5 milioni e le barrette di cioccolata per appena un milione di euro.
Senza contare, conclude la Coldiretti, che il contesto che si sta prospettando aumenta il rischio di proliferazione sul mercato statunitense del fenomeno dell’ “Italian sounding”. Che d’altro canto possiede già un valore che si aggira sui 20 miliardi di euro.