Firenze – E’ proprio vero, quando si tratta di emergenze naturali come i terremoti, che “i soldi non ci sono” per le ricostruzioni? Il quesito è caduto sotto i riflettori della Cgia di Mestre, che, attraverso il suo Ufficio Studi, rende nota la cifra che gli italiani, pagando le accise sul carburante, hanno consegnato all’erario per i terremoti: 1,8 miliardi di euro a partire dal 24 agosto 2016 fino al 31 gennaio di quest’anno.
Soldi, come spiega la Cgia, interamente ascrivibili alle accise sui carburanti introdotte per finanziare la ricostruzione di 5 aree colpite da altrettanti terremoti avvenuti in Italia in questi ultimi 50 anni; accise, ricordano ancora dalla Cgia, che paghiamo anche adesso e che dovrebbero finanziare i lavori del dopo-sisma del Belice (avvenuto nel 1968), del Friuli (1976), dell’Irpinia (1980), dell’Abruzzo (2009) e dell’Emilia Romagna (2012).
A questo punto si potrebbe dire che molte di quelle ricostruzioni essendo ormai finite da molti anni, non avrebbero più bisogno del continuo gettito dalle tasche degli italiani. Perciò, “almeno in linea puramente teorica – come spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – possiamo affermare che per i primi interventi di messa in sicurezza e di avvio dei lavori di ricostruzione nelle aree del centro Italia colpite dal terremoto del 24 agosto scorso e dalle scosse che si sono abbattute successivamente, in soli 5 mesi gli italiani hanno versato nelle casse dello Stato 1,8 miliardi di euro. Pertanto, sostenere che non è facile trovare le risorse economiche per affrontare queste emergenze non corrisponde al vero. Pur sapendo che queste entrate provenienti dall’applicazione delle accise non hanno alcun vincolo di spesa e in larga parte finiscono nel capitolo delle uscite pubbliche, resta il fatto che gli italiani continuano a pagare delle imposte che sono state introdotte per fronteggiare gli effetti negativi provocati da calamità naturali che, in massima parte, sono stati risolti. Preso atto di ciò, correttezza vorrebbe che queste risorse, che continuiamo a pagare ogni qual volta ci rechiamo ad una stazione di servizio con la nostra auto, fossero utilizzate per fronteggiare le nuove emergenze come quelle che hanno colpito il centro Italia a partire dal 24 agosto scorso e non voci di spesa che nulla hanno a che vedere con le finalità per cui sono state introdotte”.
Ed ecco come l’Ufficio Studi della Cgia veneta ha messo nero su bianco la cifra di 1,8 miliardi in 5 mesi, solo per le accise sui terremtoi degli ultimi 50 anni, escluso quello del Centro Italia: “Prendendo a modello i dati e le stime dei consumi di gasolio per autotrazione e di benzina registrati a partire dall’1 settembre 2016 fino al 31 gennaio 2017, l’Ufficio studi della Cgia ha stornato dal prezzo alla pompa la quota riconducibile alle 5 accise introdotte per la ricostruzione post-sisma e gli effetti sull’Iva incassati dal fisco. Accise, ricordiamo, che sono state applicate per finanziare la ricostruzione post terremoto del Belice, del Friuli, dell’Irpinia, dell’Abruzzo e dell’Emilia Romagna”.
Cosa succede in concreto, lo ricorda il segretario della Cgia Renato Mason: tutte le volte che ci rechiamo a fare il pieno della nostra auto, subiamo un prelievo di 12 centesimi di euro al litro che serviranno per le ricostruzioni delle 5 zone, che, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, hanno subito le devastazioni da sisma ben note. “Con questa destinazione d’uso – continua Mason – gli italiani continuano a versare all’erario circa 4 miliardi di euro all’anno. Se, come dicono gli esperti, questi fenomeni distruttivi avvengono mediamente ogni 5 anni, è necessario che queste risorse siano impiegate in particolar modo per realizzare gli interventi di prevenzione nelle zone a più alto rischio sismico e per fronteggiare i primi interventi nelle zone appena colpite”.
Ma il tema delle accise sui carburanti è ancora più complesso, e si intreccia con le richieste e le politiche economiche europee in un modo che potremmo definire “perverso” per il nostro Paese. Ad esempio, potrebbero essere proprio le accise a essere ritoccate all’insù nelle prossime settimane per permettere all’Italia di far fronte alle richieste dell’Unione europea di correzione del nostro disavanzo per un importo quantificato in 3,4 miliardi di euro. Un’ipotesi o forse qualcosa di più che vede la ferma contrarietà della Cgia Mestre, che attribuisce la responsabilità della “bacchettata” sulle dita di Bruxelles al fatto che “il Parlamento ha approvato una legge di Bilancio per il 2017 molto generosa sul fronte della spesa. I vari bonus erogati con una certa magnanimità e l’innalzamento della no tax area per i pensionati, ad esempio, ci costeranno poco più di 1,3 miliardi di euro. Quasi lo stesso importo che il Governo Gentiloni vuole recuperare con il ritocco all’insù delle accise sui carburanti”.
Non è ancora finita, sul fronte europeo: dalla Cgia infatti ricordano che entro la fine di quest’anno il Governo dovrà recuperare 19,5 miliardi di euro. Pena, dal 1° gennaio 2018, dello scatto della clausola di salvaguardia “che provocherà l’innalzamento dell’aliquota ordinaria dell’Iva dal 22 al 25 per cento e quella ridotta dal 10 al 13 per cento. Se non evitati, questi aumenti faranno salire alle stelle anche i prezzi dei carburanti”.Ecco dunque, conclude la nota della Cgia Mestre, un ottimo motivo supplementare per non anticipare l’aumento già dalla fine di questo mese; infine, tanto per ricordarlo, è bene sapere che “continuiamo a pagare le accise introdotte per la guerra di Abissinia (1935), per la crisi di Suez (1956), per il disastro del Vajont (1963), per l’alluvione di Firenze (1966), per la missione in Libano (1983), per la missione in Bosnia (1996) e per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004)”.