I 70 di Tex, Nizzi racconta: “Ecco come nacque La Valle del Terrore”

Firenze – In occasione  dei 70 anni di   Tex che uscì per la prima volta in edicola  il 30 settembre 1948 – nel formato a strisce, che era allora quello più in voga –  proseguiamo la nostra conversazione con Claudio Nizzi, uno dei più famosi sceneggiatori di fumetti che, facendo seguito alla prima parte dell’ intervista  pubblicata su Stamp Toscana il 15 settembre scorso (con il titolo: I  70 anni di Tex  a colloquio con lo sceneggiatore Claudio Nizzi)  racconta la genesi di uno dei suoi  lavori più noti il “Texone”La valle del terrore”  disegnato da  Magnus uno dei più  grandi artisti italiani nel campo del fumetto . Spiega poi come  sceglieva le ambientazioni delle sue storie, un fattore molto importante perché buona parte del successo di Tex deriva proprio dalle  differenti e sempre suggestive locations.

D –  Uno dei texoni più belli, per alcuni il migliore in assoluto, è La valle del terrore (1996). Anche questa volta una storia con toni tra noir e giallo. Al successo hanno contribuito molto i disegni di Magnus e uno scenario emozionante, con paesaggi fantastici (a cominciare dalle favolose foreste) e personaggi con una caratterizzazione assai originale(a cominciare dalla dark lady May Ling” pur senza lasciare il contesto  Western

R  – Parlare a fondo della nascita e della realizzazione di questa storia richiederebbe lo spazio di un romanzo. Non fu Sergio Bonelli (eternamente a caccia di disegnatori “speciali” a cui affidare i texoni) a proporre a Magnus di disegnare un texone, ma il contrario: fu Magnus a offrirsi, stimolato dalla sfida impossibile. Tex era stato uno dei suoi eroi da lettore-ragazzo: un mito. E lui voleva sfidare il mito, accettando tutte le regole e le fatiche che questo comportava. Tra le altre difficoltà che avrebbe dovuto incontrare, Magnus rivelò candidamente che non sapeva disegnare i cavalli (“Mi vengono come quelli delle giostre”), ma in questo si sarebbe fatto aiutare da Giovanni Romanini, con cui aveva già collaborato.

Quando Bonelli mi commissionò la storia, mi fu subito chiaro che per Magnus non avrei potuto scrivere un’avventura tipicamente western con indiani e banditi,  sparatorie e inseguimenti, ma una storia ricca di atmosfere cupe e di personaggi misteriosi che nascondessero qualche segreto nel loro passato, e che avesse un  solido plot da romanzo d’appendice. Come teatro della storia pensai a qualche valle sperduta e selvaggia sui monti della California nel periodo della scoperta dell’oro, in cui avvenissero fatti tragici e misteriosi.

Mi era capitato di leggere anni prima un libretto intitolato Oro, scritto da Blaise Cendras, in cui si narrava la vita esaltante e drammatica di John Sutter un esule svizzero che aveva fatto fortuna in California, nella cui terre – per sua sventura – venne trovata la prima pepita d’oro, che avrebbe dato il via a una vera invasione  di cercatori provenienti da tutte le parti del mondo che avrebbe travolto la serenità che dopo tante tragedie familiari si era conquistato.

Decisi che John Sutter (personaggio storico) sarebbe stato al centro della storia e che attorno a lui si sarebbero mossi tutti gli altri, compresa una devota figlia, un’esotica governante cinese, e uno spietato personaggio, capo di una setta di assassini di origine asiatica, che alla fine si sarebbe scoperto essere uno dei figli di Sutter che tutti credevano scomparso in mare  nel naufragio di una nave che lo portava in Europa (un fatto storico anche questo). L’uomo, sotto mentite spoglie, era tornato nella sua valle per vendicarsi di coloro che avevano portato il padre alla rovina e alla pazzia.

Bene: avevo il soggetto della storia. Si trattava di realizzare la sceneggiatura.

Come sempre quando scrivo per un disegnatore con cui non ho mai lavorato, non scrivo mai l’intera sceneggiatura, ma sono una parte iniziale – diciamo dalle 30 alle 50 pagine – per vedere come vengono realizzate in modo da regolarmi e da aggiustare il tiro strada facendo. Per Magnus scrissi appunto 50 pagine, convinto (e con me Sergio Bonelli) che gli sarebbero bastate per anni e forse non sarebbe mai arrivato a realizzarle.

Spediamo il soggetto e le 50 pagine di sceneggiatura a Magnus e non ne sappiamo più niente. Passano dei mesi (che a Magnus erano serviti per raccogliere una sconfinata documentazione) e finalmente arriva un primo lotto di tavole disegnate, una decina. Disegnate solo a matita, perché preferiva farle scrivere dalla letterista in modo da completare lui stesso gli inevitabili spazi vuoti che sarebbero rimasti attorno ai ballon. Erano tavole bellissime e, vedendole, ci cresceva il rammarico che un così bel lavoro non avrebbe mai visto la fine.

Passavano altri mesi di silenzio, poi ne arrivavano un’altra decina. E si andò avanti così. Uno stillicidio. Ma uno stillicidio che non s’interrompeva. Magnus andava avanti lento, lentissimo, ma andava avanti.

Per farla breve, impiegò sette anni per arrivare in fondo, ma ci arrivò. E ci arrivò, purtroppo, poche settimane prima di morire: gli fu sottratta anche la gioia di vedere la sua opera stampata.

Un altro capitolo del romanzo riguarderebbe l’ambientazione della storia, la natura della valle selvaggia e il modo in cui Magnus scelse di rappresentarla. E un altro ancora i rapporti che intercorsero tra me e lui, che diventarono via via  più stretti, con una sceneggiatura che realizzavo in progress, a brevi tranche dopo aver visto le sue ultime tavole, per stare al passo con lui e assecondarlo nelle sue soluzioni grafiche (la casa fortificata di Sutter diventò via via un vero castello, copia di quello che Magnus vedeva dalla finestra del suo studio a Castel del Rio, il paese sulle colline imolesi in cui si era ritirato per lavorare in pace): un procedimento che non avevo mai seguito con nessuno del centinaio di disegnatori con cui ho lavorato e che non mi sarebbe mai più capitato di seguire. Ma giunti a questo punto mi fermo, perché la materia che resterebbe da raccontare esula dalla lunghezza di questa (e di ogni altra) intervista.

D  – Nelle sue storie c’è un sapiente alternarsi di deserti infuocati e di foreste del nord… ma qual è il suo scenario preferito?   

R – L’alternarsi delle location è un elementare espediente, usato per primo dal vecchio Bonelli, per rendere più variato il susseguirsi delle storie di mese in mese. A una storia di ambiente nevoso se ne faceva seguire una con un’ambientazione torrida,

Si alternava il Canada al Messico, una storia classica di cowboys a una di maghi e streghe, eccetera. Personalmente preferisco le storie ambientate nelle foreste, forse perché fin da ragazzo ho visto attorno a me i boschi di Fiumalbo, il paese dell’Appennino modenese in cui ho le mie radici.

Questo gioco però non garantisce che il cambio di ambientazione delle storie si travasi pari pari sugli albi, perché entrano in gioco altri elementi imponderabili.

Per esempio, la crisi di uno o più disegnatori che non portano a termine nei tempi fissati il proprio lavoro può scompaginare l’ordine con cui si erano programmate le storie, costringendo l’editore a pubblicare la prima già pronta, sicché può verificarsi che due storie con la medesima ambientazione – scritte a molti mesi di distanza – vengano pubblicate una di seguito all’altra e producano un effetto sgradevole sul lettore. D’altra parte la casa editrice non ha scelta, pena il non far uscire l’albo in un certo mese, cosa mai accaduta e che mai accadrà, perché anche in questo Tex è una certezza.

 

Total
0
Condivisioni
Prec.
I Musei? Cambiano la vita alle persone

I Musei? Cambiano la vita alle persone

Firenze – E’ la nota dominante su cui ha aperto a Firenze  ieri  il

Succ.
Scuola, allarme dei sindacati: in Toscana 3mila cattedre a supplenza

Scuola, allarme dei sindacati: in Toscana 3mila cattedre a supplenza

Firenze – Scuola, in Toscana le nomine per i posti in ruolo dei docenti

You May Also Like
Total
0
Condividi