Firenze – Chi coltiva non riesce neppure a pagare le spese, ma al consumatore frutta e verdura costano fino al 300% in più rispetto a quanto percepisce l’agricoltore. L’ortofrutta è sottopagata, i costi di produzione sopravanzano il guadagno. E una delle cause di questa situazione ha un nome ben conosciuto, è il monopolio dei mercati retto con mano di ferro dalla criminalità organizzata.
La recente operazione della Dia di Palermo circa le infiltrazioni della criminalità organizzata nel mercato ortofrutticolo è occasione per Coldiretti per tirare le fila di un lungo percorso, che vede numeri da brivido. Il volume d’affari complessivo delle mafie nell’agroalimentare è salito a 21,8 miliardi di euro secondo la Coldiretti, e riguarda la filiera del cibo, la sua produzione, il trasporto, ma anche la distribuzione e vendita. Insomma il mondo agrario ortofrutticolo è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della malavita.
“Le mafie – sottolinea la Coldiretti – condizionano il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto. In questo modo la malavita si appropria – spiega la Coldiretti – di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy”.
“Le agromafie vanno contrastate nei terreni agricoli, nelle segrete stanze in cui si determinano in prezzi, nell’opacità della burocrazia, nella fase della distribuzione di prodotti che percorrono migliaia di chilometri prima di giungere al consumatore finale – afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – ma anche con la trasparenza e l’informazione dei cittadini che devono poter conoscere la storia del prodotto che arriva nel piatto”.