Firenze – In occasione della XXIII Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare promosso dalla Coldiretti con il procuratore Giancarlo Caselli alla guida del Comitato Scientifico, rende noti i numeri del volume d’affari complessivo annuale dell’agromafia. E quello che salta agli occhi è che, nell’ultimo anno, tale volume, nonostante gli allarmi e le prese di posizione, è salito a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30% per quanto riguarda la filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita. In altre parole, sottolineano dalla Coldiretti, l’area dell’agroalimentare è divenuta una delle aree prioritarie di investimento della malavita.
L’attività delle cosche è a largo raggio: furti di attrezzature e mezzi agricoli, racket, abigeato, estorsioni, il cosiddetto pizzo anche sotto forma di imposizione di manodopera o di servizi di trasporto, di guardiania e di caporalato alle aziende agricole, tutti gli strumenti sono utilizzati per mettere sotto scacco il tessuto produttivo agroalimentare del Paese.
“Le mafie – denuncia la Coldiretti (www.coldiretti.it) – condizionano il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto. In questo modo la malavita si appropria – sottolinea la Coldiretti – di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy”.
E tuttavia, nonostante la gravità e l’immenso lucro che ne deriva, le mafie non si accontentano, ma mettono le loro mani insanguinate anche nel lucroso business delle importazioni: “Quasi un prodotto agroalimentare su cinque che arriva in Italia dall’estero non rispetta le normative in materia di tutela dei lavoratori, a partire da quella sul caporalato, vigenti nel nostro Paese – ricordano da Coldiretti – dal riso asiatico alle conserve di pomodoro cinesi, dall’ortofrutta sudamericana a quella africana in vendita nei supermercati italiani fino ai fiori del Kenya”.
Insomma, l’agroalimentare è davvero ormai “una delle aree prioritarie di investimento della criminalità che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone”. Una rete criminale protetta da una collaudata e sapiente politica della mimetizzazione, grazie alla quale le cosche riescono a tutelare i patrimoni finanziari accumulati con le attività illecite muovendosi ormai come articolate holding finanziarie. E anche i supermercati rappresentano spesso efficienti coperture, mostrando, come ricostruisce la Coldiretti, una facciata di legalità dietro la quale non è sempre facile risalire ai veri proprietari ed all’origine dei capitali.
“Le agromafie vanno contrastate nei terreni agricoli, nelle segrete stanze in cui si determinano in prezzi, nell’opacità della burocrazia, nella fase della distribuzione di prodotti che percorrono migliaia di chilometri prima di giungere al consumatore finale – ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – ma anche attraverso la trasparenza e l’informazione dei cittadini che devono poter conoscere la storia del prodotto che arriva nel piatto”.