Grosseto – Prima Conferenza regionale sulla caccia dopo che l’attività venatoria è passata di competenza della Regione, che dal 2015 ha messo ordine tra regolamenti provinciali molto diversi gli uni dagli altri.
L’obiettivo – come ha sottolineato l’assessore all’agricoltura Marco Remaschi – “darsi un metodo in un confronto aperto e che privilegi soluzioni auspicabilmente condivise, ma che portino nei prossimi dieci mesi, da qui alla fine della legislatura, ad atti concreti”.
E due dati sopra a tutti sono alla base dell’incontro: il primo demografico, con il calo ed invecchiamento dei cacciatori, e il secondo agronomico, con i boschi che hanno guadagnato spazio ai danni di campi abbandonati e incolti. La Conferenza si svolge al Centro fiere del Madonnino di Grosseto, vetrina durante l’anno dei prodotti agricoli del territorio e proseguirà fino a domani.
Le associazioni ambientaliste a Grosseto non ci sono: hanno disertato l’appuntamento. “Ma non mancheranno momenti futuri di confronto” aggiunge ancora l’assessore, che mantiene la porta aperta, pronto a sedersi attorno ad un tavolo con chi ha posizioni diverse.
Gli ungulati
C’è il piano faunistico regionale da adottare. Rimane il problema degli ungulati in sovrannumero: la Toscana ne conta più di tutte le altre regioni, almeno 420 mila, il 30 per cento di cinghiali di tutta Italia, il 40 e 45 per cento di caprioli e daini; e danneggiano spesso i campi coltivati. Va trovata una modalità di gestione che passi dall’emergenza all’ordinario. “Ce lo chiedono anche gli agricoltori, con cui il mondo venatorio deve ristabilire un rapporto più stretto” chiosa Remaschi.
La selvaggina stanziale che non c’è più
Ma non c’è solo la caccia agli ungulati. C’è quella alla piccola fauna stanziale e migratoria. La prima, un tempo tradizionale e diffusa, – quella per lo più a lepre e fagiano – oggi è quasi scomparsa. E le associazioni chiedono su questa nuova attenzione: il che vuol dire un rinnovato impegno, ad esempio, sulle zone di ripopolamento e cattura, sugli animali che predano quella selvaggina laddove in sovrannumero, sull’organizzazione anche delle guardie venatorie e della polizia provinciale che deve vigilare. Tutti temi molto concreti. La caccia non è un elemento distruttivo, rispondono i cacciatori alle critiche che arrivano dagli ambientalisti: la caccia sana e regolata aiuta a ristabilire gli equilibri e dunque è utile all’ambiente e alla gestione del territorio. Certo se si fissano delle regole, vanno poi rispettate.
Più certezze, anche dal Governo
Durante la mattina e al pomeriggio molti temi si susseguono nella grande sala rotonda del Madonnino. Si accenna al nuovo calendario venatorio, unico per tutta la Regione. Si parla del tesserino venatorio elettronico: la Toscana ha fatto da apripista, anche se ancora non è diffusissimo. Ci si sofferma anche sul commercio delle carni cacciate, che è cosa diversa dall’autoconsumo, cercando di sfatare luoghi comuni fallaci. Le associazioni chiedono certezze legislative: qualcuna anche modifiche ad una legge, nazionale, che nella sostanza è la stessa da ventisette anni. E certezze le chiede anche la Regione: “le divisioni all’interno del governo, con ministeri che la pensano spesso in modo opposto, non aiutano” dice Remaschi. Si accenna pure alle braccate al cinghiale utilizzate per il controllo faunistico, quindi al di fuori dei novanta giorni di caccia, autorizzate da una norma su cui il Tar ha disposto la sospensiva in attesa di esprimersi nel merito probabilmente a metà settembre.”
I numeri da non dimenticare
Il primo è demografico, per l’appunto. In ventitré anni, dal 1995 al 2018, i cacciatori toscani si sono dimezzati – da oltre 145mila sono passati a poco meno di 72 mila – e l’età media è andata ad aumentare. Sono un po’ di più nelle aree periferiche, di meno in quelle metropolitane.Ed è stato un trend costante, con quasi un terzo delle doppiette toscane (il 30%) che conta oggi tra i 60 e i 70 anni, ancora di più (il 32%) oltre settanta e appena il 7 per cento da 18 a 39 anni. Numeri che in prospettiva disegnano un possibile ulteriore dimezzamento dei cacciatori toscani, un sesto di quelli di tutta Italia, entro il 2030, quando saranno appena 35 mila.
Il secondo dato riguarda l’uso del territorio: le aree boscate sono cresciute. Sono passate da 983 mila ettari a 1 milione e 209 mila dal 1985 al 2013, il 23 per cento in più, complice la specializzazione agricola (vigne e olive) e l’abbandono dei piccoli poderi promiscui. Il risultato è che gli ungulati sono aumentati. Due dati, numerici, da cui non si potrà prescindere nei prossimi mesi. Con lo scemare dei cacciatori sono diminuite anche le entrate e più complicata si è fatta la gestione degli ambiti di caccia negli anni scorsi. Ma in questo caso il periodo più complicato è già alle spalle. “Abbiamo riorganizzato il sistema e gli Atc. Negli ultimi mesi abbiamo trovato il modo anche di marciare tutti insieme, uniti – ricorda Remaschi-. Ed ora possiamo guardare avanti, ai prossimi dieci mesi, dove ci aspettano nuove grandi sfide”.