Firenze – Umberto Tombari, presidente dalla Fondazione Cassa di Risparmio vorrebbe comprarla, a coronamento di una delle più riuscite e prestigiose operazioni della Firenze della seconda metà del secolo scorso. Si parla dell’eredità dell’antiquario Stefano Bardini e della lunga difficile e, alla fine, fortunata lotta per restituire alla città di Firenze il versante di una collina dalla quale si gode “il più bel panorama del mondo”, come l’ha definita Antonio Paolucci, uno dei protagonisti dell’operazione. Una storia che potrebbe diventare la sceneggiatura di un film di successo.
Paolucci ha curato un volume “L’Eredità di Stefano Bardini a Firenze” (con saggi di Maria Chiara Pozzana ed Emanuele Barletti) che rappresenta il documento – testimonianza di un lavoro ben fatto, qualcosa che restituisce merito e onore a tutti coloro che operarono per trovare soluzioni a una eredità “sciagurata” come è stato detto nel corso della presentazione del volume. Innanzitutto a Raffaello Torricelli, l’avvocato fiorentino, presidente degli Amici dei Musei, dotato di quella capacità creativa e di quella saggezza dell’interpretazione del diritto che sbloccò la situazione insieme ad Alberto Carmi ed Edoardo Speranza, i vertici della Cassa di Risparmio di Firenze.
Era stato il figlio di Stefano Bardini, Ugo, a porre le condizioni dell’eredità che erano una sorta di puzzle. Lo ha raccontato con dovizia di particolari (soprattutto personali) Vittorio Sgarbi che ebbe un ruolo importante nella felice conclusione della vicenda come presidente della Commissione Cultura della Camera.
Quando morì, nel 1965, Ugo lasciò tutto il patrimonio alla Svizzera e, in seconda istanza, ciò che avvenne per il ritiro della prima, allo Stato italiano. Il problema era la condizione per l’accettazione: lo Stato avrebbe dovuto vendere tutti i 30mila pezzi della collezione (censita da Paolucci fra il 1975 e il 1979), di quello che era stato il più importante antiquario italiano, e gli edifici dell’eredità (valutati in 33,5 miliardi di lire) per acquistare due (o almeno) un capolavoro universale degno di essere esposto agli Uffizi se pittura o al Bargello se scultura.
Fu Torricelli, organizzatore di un convegno nel 1983 a mobilitare la città per risolvere un problema come quello di vendere opere di varia qualità e valore, notificati, pezzi di una collezione unitaria. Sarebbe stato lo Stato sostanzialmente a riscattare l’eredità ricevuta, grazie a Lamberto Dini che guidava il governo tecnico del 1995 e allo stesso Paolucci che era il ministro dei Beni Culturali. Trovati i denari nelle pieghe della Finanziaria 1995 fu nominata una commissione di tre esperti (Evelina Borea, Cristina Acidini e Marco Chiarini) per trovare i capolavori richiesti e che Ugo aveva prescritto “non posteriori al XVI secolo”.
Ancora Sgarbi ha deliziato il pubblico con dettagli sulla caccia al tesoro tutt’altro che facile visto che la cifra a disposizione era più bassa delle correnti quotazioni di mercato degli artisti più ricercati. Alla fine furono acquistati due comparti di polittico di Antonello da Messina (da un antiquario torinese) e lo stemma Martelli di Donatello (dalla Curia Fiorentina). Il terzo comparto del polittico che stava al Castello sforzesco di Milano fu poi ricomposto “con deposito decennale rinnovabile” nel 2015, secondo un criterio storico artistico che Sgarbi che lo promosse ha difeso veementemente di fronte alle battute del milanese critico del Sole 24 Ore Marco Carminati che ha coordinato la presentazione.
L’allora Ente Cassa (oggi Fondazione) Cassa di Risparmio fece successivamente un accordo con il demanio pubblico per procedere al restauro del meraviglioso giardino diviso in tre parti di diverso carattere e uso (guidato da Maria Chiara Pozzana) e degli edifici soprastanti in cambio della gestione che attiene alla Fondazione Parchi monumentali Bardini e Peyron presieduta da Jacopo Speranza, figlio di Edoardo.
Manca ora solo l’acquisto definitivo di un bene visitato ogni anno da decine di migliaia di turisti, ormai parte integrante dell’esperienza quotidiana e dell’immaginario dei fiorentini.