Firenze – Ha preso in esame e ristudiato reperti di equidi fossili presenti in America, India, Georgia, Italia e Africa, per arrivare a confermare con prove scientifiche quanto ipotizzato trenta anni fa da Augusto Azzaroli, uno dei più importanti paleontologi italiani, docente all’Università di Firenze dal 1960 al 1996.
Un team internazionale guidato da ricercatori statunitensi (Smithsonian Natural History Museum e Howard University di Washington DC), e formato da studiosi delle università di Firenze e di Pisa e del National Georgian Museum di Tbilisi (Georgia) ha pubblicato su “Frontiers in Ecology and Evolution” i risultati dell’indagine.
Le attuali zebre africane – come già pensava Azzaroli – hanno avuto unantenato comune nel Nord America , Equus simplicidens, che risale a 4 milioni di anni fa. Ma i ricercatori – grazie all’analisi dei reperti provenienti da alcune località europee, asiatiche e africane – sono riusciti a ricostruire i successivi passaggi dell’evoluzione di questi mammiferi: le zebre si sono diffuse in Europa e in Asia a partire da 2.6 milioni di anni fa (con le due specie, Equus livenzovenzis e Equus stenonis), colonizzando le principali aree intorno al Mediterraneo e nel Caucaso e infine l’Africa.
“La storia della ricerca sulle zebre è legatissima a Firenze – spiega Lorenzo Rook, docente Unifi di Paleontologia e Paleoecologia –: proprio qui, nel Museo di Storia Naturale dell’Ateneo fiorentino, è conservato nella sezione di Paleontologia l’esemplare tipo di Equus stenonis, cioè il rappresentante della specie, ritrovato nel Valdarno Superiore da Igino Cocchi, geologo e paleontologo, docente nel 1860 all’Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento, praticamente l’antenato dell’Università di Firenze. Un secolo dopo, Azzaroli collocò Equus stenonis all’interno dell’evoluzione degli Equidi e ne ipotizzò l’antenato nel Nord America; ora i successivi passaggi che portano all’Africa si completano. Non a caso lo studio è nato proprio a Firenze, grazie alla permanenza come visiting professor presso il nostro dipartimento di Raymond L. Bernor, primo firmatario del lavoro”.
“Snodo fondamentale per capire la diffusione delle zebre – spiega Omar Cirilli, del dottorando di ricerca in Scienze della Terra (Università di Firenze e Università di Pisa) – è sicuramente il sito di Dmanisi, in Georgia, dove – insieme ai primi resti di Homo erectus scoperti fuori dal continente africano – sono state ritrovate due specie: una di grande taglia, identificabile come Equus stenonis, e una di dimensioni minori ancora indeterminata. Entrambi mostrano molte affinità con le attuali zebre (Equus grevyi). Questo dato, supportato da analisi statistiche e morfologiche, evidenzia l’importanza paleontologica del sito georgiano ponendolo come crocevia tra il mondo europeo, asiatico e africano, anche per l’evoluzione delle zebre così come per l’evoluzione umana”.
Ma la ricerca non si ferma qui: la revisione degli studi sui fossili degli Equidi ha permesso di ridatare la comparsa sulla Terra –anticipandola a oltre 2 milioni di anni fa – dell’enigmatico Equus stehlini, specie di dimensioni minori, simile ad un asino, ritrovata in Toscana e descritta negli anni ’60 del secolo scorso. Ulteriori studi sono in corso per chiarire anche quest’altra storia evolutiva.
Foto: evoluzione zebre: crani in vista laterale di equus simplicidens, Equus stenonis e Equus grevyi