Sbarca a Pisa l’esercito rivoluzionario dei robot

Pisa – Quelli con le fattezze umane piacciono poco. Quelli che ti si avvicinano fanno sobbalzare. Piacciono quelli a forma di macchina, che fanno quello che devono fare e restano al posto loro. Sono i robot, un esercito rivoluzionario dalle potenzialità ancora sconosciute che sta già invadendo la terra generando curiosità, ansia, aspettative.

Di loro si parlerà a Pisa il 15 gennaio nel convegno Robot e intelligenza artificiale nei contesti di interazione sociale organizzato dal dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’università. Scienziati e ricercatori discuteranno delle implicazioni dell’introduzione dei robot nei luoghi di lavoro, nei servizi, nell’agire quotidiano. Nadia Olivero, ricercatrice in psicologia di Milano Bicocca che si occupa da sempre dell’interazione psicologica fra uomo e tecnologia, introdurrà i lavori del convegno.

L’intelligenza artificiale è destinata a rivoluzionare sempre di più le nostre abitudini, mi fa qualche esempio di robot che presto potrebbe entrare nelle nostre case?

Un esempio potrebbe essere la teleconferenza che oggi comunemente avviene attraverso Skype. A breve in casa nostra potrebbe trovare posto un robot per comunicare a distanza, un umanoide con un corpo e un volto che si muovono. Se io e lei vogliamo comunicare, con il mio computer io potrò entrare nel suo robot e vedere quello che lui vede. Potrò collaborare con lei, girare per casa, aiutarla in qualche attività, perfino darle la mano e percepire l’odore del caffè se lei volesse offrirmelo…

Ma come è possibile trasmettere queste sensazioni a distanza?

C’è uno studio in fase molto avanzata su come tradurre le sensazioni fisiche e trasformarle in forma digitale. Ad esempio, da robot le stringo la mano e “sento” il calore, oppure posso avvertire gli odori del suo ambiente…

Mi faccia qualche altro esempio di futura convivenza con l’intelligenza artificiale

Un campo con grandi potenzialità è sicuramente quello dei servizi alla persona. Esistono già robot umanoidi che sono in grado di muoversi, somministrare farmaci. Adesso si sta lavorando sul sostegno emotivo alla persona. Si può programmare un’interazione efficace: il robot potrà fare domande, stimolare la conversazione, fare tante cose per ridurre l’isolamento delle persone anziane.

Se parliamo di robotizzazione però le persone spesso non nascondono diffidenza culturale e paure, a cominciare da quella di perdere il proprio lavoro…

In effetti il tema dell’accettazione dell’intelligenza artificiale sarà cruciale nei prossimi anni. In Giappone per esempio i robot sono accettati e molto diffusi. Su questo influisce un fattore culturale a cui contribuisce la cultura animista, ovvero riconoscere il fatto che anche le cose hanno un’anima, e dunque l’interazione con questo moderno universo non rappresenta un salto culturale. Le cose sono molto diverse nel mondo occidentale.

Lei sta collaborando con il dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’università di Pisa proprio sul tema dell’impatto emotivo dei robot. Ci racconta cosa emerge?

Abbiamo sperimentato la reazione in vari contesti (lavoro, marketing, servizi alla persona) di robot con diversi design. Il risultato è che l’accettazione varia a seconda del loro aspetto. Il robot umanoide funziona nel contesto retail, produce impatto, genera curiosità, ma al contrario crea inquietudine nella quotidianità. Nella vita comune si preferiscono i robot che non abbiano la pretesa di simulare fattezze umane, macchine che restano macchine: in tal caso si accettano per la loro utilità. In sostanza, se il robot che serve a pulire casa (ormai molto diffuso) avesse avuto l’aspetto di una domestica e non di un oggetto rotante, non avrebbe avuto lo stesso successo. Insomma, non funziona la tecnologia che stupisce. Per utilizzare una macchina devo accettarla. Ma se ripetessimo questo studio, che so, a Singapore o in Giappone, i risultati come ho già detto potrebbero essere molto diversi.

Foto:  Nadia Olivero

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