Firenze – Tsunami Covid, cambia il mondo. In particolare, cambiano le modalità del lavoro e l’importanza dei nuovi strumenti telematici. E cambia, anche, l’approccio al nuovo millennio, vale a dire, l’epoca della globalizzazione. Di tutto ciò parliamo con Armando Sternieri, AD di Energee3.
D. Qual è stato il primo impatto della pandemia sul mondo della produzione?
R. Ha interrotto il flusso di materie prime e componenti di varie filiere produttive. La logistica di molti settori è tuttora bloccata o in grande difficoltà: rientro merce invenduta, ma anche mancanza materiali o componentistica rallenteranno molto la ripartenza. Poi la pandemia ha messo anche in luce due elementi: la grandissima utilità dei nuovi strumenti digitali per fronteggiarla, e la necessità di risolvere il dilemma tra aprire il più possibile le frontiere, mentali e fisiche, facendo della globalizzazione e del multilateralismo un punto di forza e il naturale istinto alla chiusura, alla difesa, e magari all’autoritarismo per proteggersi da un nemico ma anche dall’altro che ci fa paura.
D. Ed è proprio la globalizzazione ad essere reputata da molti la responsabile vera e finale della stessa pandemia….
R. La globalizzazione, la cooperazione tra paesi, ma anche tra imprese e centri di ricerca sono invece una opportunità se non una risposta al problema e nello stesso tempo comportano un salto di qualità e di visione. Il problema della pandemia è globale e tutti sono coinvolti. Da questa situazione si esce attraverso un’assunzione di responsabilità generale in cui tutti devono fare la loro parte: dalle persone alle aziende ai Paesi , servirebbe il massimo della cooperazione, cominciando dal piccolo, fra filiere produttive. Il sistema per uscirne è esattamente il contrario di chiudersi, bensì è necessario sfruttare al massimo le relazioni. Sarebbe auspicabile un potenziamento delle istituzioni internazionali, e una presa di coscienza che permetta un approccio multilaterale. Da soli non si arriva ad una soluzione.
D. Insomma, di fatto lei prospetta una sorta di grande sistema organico, in cui ogni tassello ha il suo posto e deve funzionare per far funzionare tutto il meccanismo. Ma per far comunicare velocemente centri, filiere, imprese, persone, luoghi fisici e non, servono gli strumenti offerti dal digitale .
R. Senza dubbio sono strumenti utili, direi necessari, per questo nuovo tipo di rapporti e di società. Pensiamo a cosa sarebbe potuto accadere nel mondo al verificarsi del contagio, e cosa potrebbe accadere in un futuro di pandemie senza questi strumenti in tutti gli aspetti della vita della persona. Senza dubbio però gli strumenti da soli non possono niente. Serve però una disponibilità , una volontà dei singoli e delle organizzazioni, delle istituzioni, una definizione di politiche condivise: poi nella fase di attuazione il digitale è uno strumento ormai imprescindibile. Ma le tecnologie in se’ non hanno visioni del futuro, non disegnano scenari: quelli sono delle persone, sono dei gruppi di persone. di popoli. Ad ogni momento difficile si possono sempre imboccare strade diverse, o di regressione di passi indietro, o di crescita. Io ho l’impressione che in questa crisi si stia allineando tutto per il meglio. Comincia a essere evidente che le persone hanno un destino se non comune sicuramente legato, che dire cose a vanvera e non ascoltare la scienza non è un buon modo per governare un paese, che dove c’è una democrazia vera le persone e i diritti sono più tutelati. E’ emerso anche che il rapporto degli uomini con il mondo degli animali deve assolutamente cambiare, improntando il rapporto in una direzione di maggiore rispetto. Io sono convinto che il valore positivo dei comportamenti virtuosi di chi comprende che si fa parte di un sistema e il fatto che i comportamenti solo egoistici non sono premianti, emergeranno. Ad esempio le aziende devono occuparsi della loro “salute” ma anche di quella dei loro clienti, dei loro fornitori, dell’ambiente in cui operano, oltre ovviamente di quella dei loro collaboratori, dei loro dipendenti. America first non è stata una grande idea, ne’ per gli Stati Uniti ne’ per gli gli altri. Spero vivamente che i duri alla Trump, alla Johnson, ma anche alla Bolsonaro o alla Orban, escano ridimensionati da questo periodo.
D. L’Italia non si è dimostrata ancora un paese omogeneo..
R. Beh sicuramente c’è una differenza profonda tra zone più o meno colpite dal contagio. Quindi dal punto di vista epidemico c’è stata quasi una frattura. Credo che lei intendesse altro: il sistema sanitario fortunatamente non è stato messo sotto stress in aree meno preparate . Sotto l’aspetto delle imprese il problema della distanza Nord-Sud emerge anche in queste occasioni di emergenza: al Nord anche le aree in cui ancora lo smart working non era stato utilizzato in maniera diffusa, sono riuscite ad attivarlo piuttosto velocemente, al sud c’è molta più carenza di sttrezzatura e anche di processi. Ed è un problema che rimane sul tavolo.
D. L’utilizzo dei nuovi strumenti conosce anche un altro risvolto importante, nella battaglia contro il virus.
R. Senza dubbio, basti pensare ai centri di ricerca che cooperano per il vaccino, che per la prima volta nella storia dell’uomo possono interagire grazie agli strumenti tecnologici e condividere scoperte e passi importanti, trovare in pochissimo tempo una soluzione ad una situazione che in passato sarebbe durata secoli. E’ vero che la globalizzazione ha accelerato il contagio a livello planetario Ima mi piace sottolineare il concetto: la collaborazione ai massimi livelli tra istituzioni diverse e organizzazioni è la risposta alla crisi.
D. Nonostante tutto, però, la crisi del sistema economico è drammatica, e le ricadute sociali ancora sconosciute nella loro intera portata. Si può trovare una responsabilità in tutto ciò?
R. Dobbiamo procedere col buon senso: ci sono e rimarranno sempre attività produttive e filiere che hanno a che fare con la trasformazione dei materiali fisici, in cui la materialità e la fisicità non sono prescindibili. In questo momento tuttavia non è solo una questione di natura della filiera produttiva, bensì anche il banco di prova in cui conteranno in maniera decisiva le capacità manageriali, ma anche umane e morali. Ci troviamo di fronte anche a scelte che sono etiche. Non si può pensare solo alla propria nicchia produttiva, tutto funziona se funzionano tutti. Sembra un’affermazione banale, ma ripeto: comporta che devi prenderti cura non solo del tuo cliente, ma anche del cliente del tuo cliente, fino ad essere pronto, ad esempio, a rinunciare, se ti è possibile ovviamente, ad accedere al programma di aiuti statali per favorire imprese più in difficoltà, come hanno fatto ad esempio molti marchi del lusso.
D. Tornando allo smart working, è tuttavia contestato anche duramente dai sindacati, che parlano di isolamento e perdita relazionale e di identità del lavoratore. Lei che ne pensa?
R. In parte è vero, lo smart working, aiuta le attività che richiedono approfondimento, concentrazione e studio individuale. L’altra faccia della medaglia è l’impoverimento delle relazioni reali. Lavorare in gruppo fisicamente significa anche confronto e stimolo, senza la presenza fisica delle persone il rischio è il sacrificio della parte creativa e spesso l’incapacità di arrivare alla soluzione, o a una prospettiva di lungo termine. In realtà, gli strumenti digitali possono sopperire temporaneamente alla compresenza fisica propria del gruppo, ma non arrivare alla sostituzione. L’empatia, mediando la relazione, non viene sviluppata, o solo limitatamente. Senza dubbio, gli strumenti digitali consentono di operare in situazioni di emergenza come l’avverarsi di una crisi, ma non possono rappresentare il complesso dei nostri rapporti e sicuramente non il futuro della nostra vita. I rapporti fisici nel futuro resteranno sempre fondamentali. Le nuove tecnologie costituiscono una componente, un aiuto, in casi particolari decisivo, ma non possono diventare il 100% della nostra vita”.