Prato – In data 31 gennaio 2020 il Consiglio dei Ministri deliberava, per sei mesi dalla data del provvedimento, lo Stato di emergenza “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” (Coronavirus).
A seguito di detta delibera, su specifica posizione degli istituti scientifici sanitari, sono seguiti una serie di provvedimenti che, oltre a disciplinare i poteri straordinari attribuiti alla protezione civile e ad altre pubbliche amministrazioni, hanno inciso in modo totalmente nuovo e non secondario sui diritti dei cittadini.
Da ciò sono seguiti un certo numero di contributi, interviste sui giornali, video conferenze, ed altro, aventi ad oggetto il rapporto tra la normativa urgente dovuta al Covit 19 e la nostra Carta costituzionale.
A questo dibattito, seppur dopo varie esitazioni, abbiamo deciso di partecipare anche noi, ovvero chi scrive questa pagina con una sua cara, vecchia amica, che attualmente è il Presidente del Tribunale di Pisa; e lo abbiamo fatto volutamente non nell’immediato, bensì in questi giorni, ovvero in un momento in cui tutti viviamo la speranza che il peggio sia alle spalle.
Il contributo integrale si trova sulla rivista telematica di Questione Giustizia.
Il nostro contributo, rispetto ai precedenti scritti sempre in tema di rapporti tra normativa Coronavirus e carta costituzionale, può avere questo di diverso: mentre gli altri si incentravo soprattutto su aspetti che potremmo definire formali, ovvero stabilire se i limiti alle libertà potessero dipendere da atti amministrativi piuttosto che da decreti leggi o leggi votate direttamente dal Parlamento (anche se, è evidente, in materie così delicate la forma è egualmente fondamentale), il nostro affronta un aspetto più sostanziale.
Esclusa qui ogni disamina più propriamente giuridica che è solo per addetti ai lavori (e che, appunto, si trova, se si vuole, nel contributo pubblicato da Questione Giustizia), abbiamo pensato che la domanda sostanziale da porsi fosse questa: la nostra costituzione consente l’emanazione di provvedimenti restrittivi della libertà personale in forma generalizzata sul presupposto che essi sono necessari e giustificati dalla necessità della salvaguardia della salute pubblica?
Si tratta di una domanda di difficilissima risposta, soprattutto se si tiene conto che provvedimenti analoghi sono stati presi da altri paesi a regime democratico quali la Francia, la Spagna, l’Inghilterra e gli Stati uniti d’America, e che il diritto alla salute può imporre dei sacrifici in forza di un principio di solidarietà.
Se tuttavia ci atteniamo alla nostra carta costituzionale, si tratta in particolar modo di focalizzare la disciplina degli artt. 16 e 13 Cost.: l’art. 16 riconosce ai cittadini il diritto di circolazione e soggiorno, tuttavia tale diritto può subire delle limitazioni “per motivi di sanità o di sicurezza”; l’art. 13 riconosce invece a tutti la libertà personale come diritto inviolabile, stabilendo che nessuna forma di restrizione di essa può essere presa “se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
Si dice, al riguardo della libertà personale, che essa gode di una doppia garanzia: a) della garanzia della riserva di legge “nei soli casi e modi previsti dalla legge”; b) e della garanzia della riserva di giurisdizione “se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria”. I costituzionalisti ritengono altresì che la libertà personale, quale diritto inalienabile della persona, non possa nemmeno essere soggetto a revisione costituzionale, e ciò nel senso che tale diritto non può essere limitato, ne’ tanto meno soppresso, neanche da una eventuale riforma della costituzione.
Orbene, poiché, dunque, la libertà di circolazione può espressamente essere limitata per ragioni di salute mentre lo stesso non sembra per la libertà personale, si tratta di stabilire se i provvedimenti avuti sul Covit 19 attengono alla libertà di circolazione oppure a quella personale.
Al riguardo, ci siamo permessi di evidenziare che se io non posso andare, ad esempio, da Firenze a Pistoia, questo è il diritto di circolazione, che come tale mi può essere negato ai sensi dell’art. 16 Cost. per ragioni di sicurezza sanitaria (seppur abbiamo ritenuto discutibile che il limite possa essere applicato alla persona sana); ma se mi è impedito di uscire di casa e mi viene imposto un comportamento non molto dissimile da quello che deve tenere chi sia agli arresti domiciliari, lì parrebbe che non si tratti più del mio diritto alla circolazione, bensì del mio diritto alla libertà personale.
E così, il divieto di recarmi da qualche parte, costituisce limite al mio diritto alla circolazione; ma se il divieto ha ad oggetto ogni luogo, e il precetto è quello che io non mi posso recare da nessuna parte e devo rimanere costretto presso la mia abitazione, lì parrebbe evidente che il limite attenga invece alla mia libertà personale e non più solo e soltanto al diritto alla circolazione.
Si tratta di due distinti diritti, così da sempre considerati dalla stessa dottrina costituzionalista.
L’art. 13 Cost. è chiaro sotto due semplici profili:
- a) la libertà personale non si ha solo di fronte alla detenzione o all’arresto ma anche di fronte a “qualsiasi altra restrizione della libertà personale”.
Al riguardo l’inciso della legge costituzionale (“qualsiasi altra restrizione della libertà personale”) è chiaro, così come chiaro fu il condiviso intervento di CORSANEGO in Assemblea costituente (Prima Sottocommissione, seduta del 12 settembre 1946, 1971, VI, 348): “E’ favorevole a conservare nel primo capoverso dell’articolo la formula proposta dai relatori. La libertà personale non si viola soltanto coll’arresto e con il fermo di polizia; vi sono state o vi sono altre forme di violazione della libertà personale”.
- b) Inoltre, la restrizione della libertà personale, come detto, gode non solo di una riserva di legge, bensì anche di una riserva di giurisdizione, e ciò nel senso che qualsiasi restrizione alla libertà personale deve necessariamente essere disposta dall’autorità giudiziaria.
Sembra, allora, che ne’ il Governo ne’ il Parlamento possano disporre restrizioni generalizzate della libertà personale, poiché trattasi di un diritto inalienabile (art. 2 Cost.), che nessun’altra ragione può impedire, e che, se del caso, può essere contratto solo in ipotesi eccezionali previste dalla legge con riferimento a singoli comportamenti, e a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
Ciò, va sottolineato, è cosa che risulta dallo stesso dibattito in Assemblea costituente.
Nella prima sottocommissione nell’adunanza tenutasi in data 12 settembre 1946 (VI, 344-5), LOMBARDI sostenne che fosse sufficiente affermare in costituzione che la libertà personale è inviolabile nei modi che la legge fisserà (“Afferma che in uno statuto non si può che enunciare i principi generali, senza scendere nei dettagli”).
A tale impostazione si opposero TOGLIATTI e MORO, secondo i quali, trattandosi di un diritto inalienabile, l’habeas corpus non poteva essere rimesso al legislatore e doveva necessariamente essere fissato in costituzione come diritto inalienabile. (MORO “rileva che l’onorevole Lombardi ha delle idee singolari sui rapporti tra costituzione e leggi speciali”). (TOGLIATTI “rinviare tutto alla legge apre una quantità di eccezioni e allora sarà la legge che deciderà l’habeas corpus e non la costituzione…..Per quanto riguarda la questione di rinviare alla legge o specificare in sede costituzionale, è d’accordo con l’onorevole Moro. Tutti questi rinvii distruggono l’habeas corpus il quale non verrebbe più ad essere quello che tutti vogliono”.
L’art. 13 fu approvato, come è noto, sulla impostazione di Togliatti e Moro e con la doppia riserva, di legge e di giurisdizione; ed anzi l’art. 13 Cost fu approvato anteponendo la riserva di giurisdizione a quella di legge (“se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”), ciò a maggiormente sottolineare come la libertà personale fosse inviolabile se non disposta dall’autorità giudiziaria.
E in questo senso la libertà personale può dirsi interpretata dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza 5 febbraio 1975 n. 23 per la quale rientrano nell’habeas corpus ogni degradazione della “autonomia e disponibilità della propria persona”.
Abbiamo concluso, allora, che sia’ stata di dubbia costituzionalità l’emanazione di provvedimenti del Governo, ancorché assunti nella forma del decreto legge, che abbiano costretto a casa una generalità di persone, addirittura senza distinguere tra persone sane e malate.
E’ stato senz’altro un evento senza precedenti nella nostra storia repubblicana.
Questo comunque, è stato aggiunto, non significa che non fossero giustificati dalla emergenza che ci ha travolto; significa solo che l’emergenza che ci ha travolto non deve però indurci a dire che allora i provvedimenti erano costituzionalmente legittimi.
Al contrario, è stato il cittadino a rinunciare ad un diritto teoricamente irrinunciabile, e ciò è stato fatto per dovere di solidarietà, e vista l’emergenza sanitaria.
Si dia almeno atto di questo per le cose che avremo da fare nell’iniziare questa nuova fase.
Giuliano Scarselli (Foto)
Professore ordinario nell’Università di Siena
Avvocato in Firenze e Roma