Smartworking? Peccato che gli inglesi non lo chiamino così

Firenze – Lo smartworking ai tempi del lockdown. Provate a dirlo ai vostri nonni. Come minimo strabuzzerebbero gli occhi. Poi, come un vecchio film di Totò, vi squadrerebbero di sbieco e girerebbero le spalle scocciati: ma mi faccia il piacere! In un’epoca in cui una parola per fare effetto deve essere necessariamente inglese, era scontato immaginarsi l’uso di vocaboli come il briefing o il take away. Ma perfino quest’ultimo appare ormai un termine desueto. Altro che take away. Neppure il prendi e porta a casa possiamo fare.

Lo smartworking? Semplicemente non esiste. Almeno nell’accezione da noi utilizzata. Ce lo siamo inventato noi in Italia. Così, per dare una definizione pseudoanglofona al lavoro agile o al lavoro a distanza che dir si voglia. In inglese lo chiamano remote working, oppure home working, oppure ancora telecommuting. Se provate a cercare sulla stampa anglosassone lo smartworking rimarrete delusi. Non c’è traccia (almeno nel significato che da noi gli diamo).

Così mentre in qualche provvedimento legislativo viene chiamato lavoro agile (anche se non manca qualche fuga in avanti nell’anglofonia) in questi giorni di lotta al coronavirus abbiamo preferito chiamarlo in modo più pirotecnico smartworking. Del resto in un’era segnata da smartphone, smartwatch, smart-tv, social network, mainstream, streaming come potevamo fare diversamente.

Allora tutti a interrogarci su quando finirà il lockdown (chiusura totale). Presi dallo sconforto, per consolarci, ci ritroviamo in video con gli amici per un happy hour a distanza dopo una giornata di triste smartworking.

In attesa del prossimo report pensiamo già a come affrontare le prossime ore chiusi in casa: sullo smartphone chattando e mettendo like sui social, oppure guardando un film in streaming sulla smart-tv? E questo mentre via email un grande network di elettrodomestici ci ricorda che è tempo di “Smart Day”. Da non confondere ovviamente con il Black Friday.

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