Firenze – Continua la passeggiata alla ricerca del verde pubblico ottocentesco fiorentino, quel percorso straordinario che prende le mosse, in buona parte, dalla sistemazione della città risalente al sodalizio fra Giuseppe Poggi e Attilio Pucci. La passeggiata in compagnia del professor Mario Bencivenni, storico dei giardini, parte dall’ultima tappa, il parterre di Porta a Prato, per procedere, attraverso viale Belfiore, verso il giardino della Vasca alla Fortezza da Basso. Un percorso studiato nei minimi dettagli dal Poggi e dal Pucci, che avevano adattato i viali circondari di riva destra dell’Arno a esigenze non solo funzionali, ma anche estetiche e di diletto della pubblica cittadinanza.
“Dopo Porta a Prato e piazza Vittorio Veneto, che erano l’arrivo dei viali all’Arno – spiega Bencivenni – questo sistema dei viali circondari era un anello di verde lineare e di sistema che creava il sistema di verde urbano dopo la Firenze Capitale, che connetteva tutti i viali circondari al posto delle mura in riva destra con i viali in riva sinistra, di cui l’episodio principale è il viale dei Colli, connettendosi con le Cascine e diventando così il primo sistema di verde urbano. Fin dall’origine questo sistema si rifà al principio illuministico che si immette nei primordi dell’età industriale, dove la città che cresce e si sviluppa in termini di edilizia e residenza, necessita di un cuore e un’anima verde che la fa respirare. Quindi, i viali di circonvallazione che sostituiscono, col Poggi, le vecchie mura (tra l’altro, non fu il Poggi a decidere di abbattere le mura, ma era imposto nel progetto di allargamento della città deciso dal governo con tanto di legge del Parlamento italiano) diventano occasione di un nuovo “giardino” lineare che consente alla città di crogiolarsi in una cintura verde”. Del resto, come ricorda il professore, “lungo le vecchie mura c’era già un primo antefatto di alberata pubblica cittadina, attuata in epoca francese, con la via lungo le mura sia esterna che interna in cui vengono impiantati delle acacie e dei gelsi. Queste alberate diventano anche un pubblico passeggio. Abbattendo le mura, il Poggi, non solo con i viali, mantiene l’idea del perimtro delle mura, mantenendo viva questa memoria, ma riorganizza i viali come boulevard alberati di respiro europeo; anzi, questi viali erano molto più ampi di quelli francesi, con un sezione in molti tratti di 41 metri. Ricrea così questa dimensione del verde per il passeggio, perché fra la parte carrozzabile centrale e le residenze sui lati operano i controviali, con questi grandi filari di alberi. Alberi non indeterminati: le alberature erano studiate con cura nella scelta della varietà ornamentale, il primo tratto erano platani, poi celtis australis (bagolari), poi di nuovo platani, poi tigli e infine di nuovo bagolari e platani. Insomma un sistema ben definito nei minimi dettagli”.
“Il Poggi si trova davanti, in questo sistema di viali, a tre nodi importanti da risolvere – continua il professore – uno è l’inizio, da ponte San Niccolò, dove c’era il pratone della Zecca, dove appunto i viali, da porta alla Croce verso l’Arno fanno una biforcazione, e sono i due viali che oggi costeggiano l’Archivio di Stato e la Caserma dei Carabinieri; l’altro problema se lo trova al Cimitero degli Inglesi, dove si decide di non distruggerlo. Così, la soluzione è quella di non fare un’unico viale, ma di biforcare intorno al cimitero, rendendolo così un’isola dove i due sensi di marcia scorrono non paralleli ma ai lati del cimitero stesso. Lo stesso punto critico se lo ritrova a piazza della Libertà, dove mette in atto la stessa soluzione, girando intorno alla porta San Gallo e all’Arco di Trionfo lorenese, e infine alla Fortezza da Basso. Le mura erano infatti inglobate nella Fortezza da Basso. Intanto, decide di non realizzare i viali solo su un lato, ma di girare intorno alla Fortezza, poi, al di là della ferrovia (che era già una ferrovia importante che creava un grosso sbarramento), deve fare un triangolo per ritrovare Porta al Prato. il Poggi dunque non costruisce un’unica direttrice, che sarebbe stata dal lato dell’attuale Palazzo dei Congressi, dal momento che Porta Faenza era inglobata nel maschio della Fortezza proprio su questo lato. Quindi, seguendo la logica di ripercorrere solo le vecchie mura, il Poggi si sarebbe dovuto limitare a creare il viale Fratelli Rosselli e basta. Invece crea tutto un grande abbraccio dei viali con la Fortezza, e, a nord ovest della stessa, costruisce il sottopasso che dà vita al viale “in curva”, ora viale Belfiore. Un viale esterno alla cinta della mura, che va a ritovare il viale che corre lungo il vecchio percorso murario davanti a Porta al Prato. Dunque, il “viale in curva”, come viale Fratelli Rosselli, era un viale disegnato da Poggi, altrettanto storico rispetto agli altri viali. Originariamente, le alberature erano a tigli e non a pini, impiantati dopo la guerra, come abbiamo visto prima dei recenti abbattimenti. Rasi al suolo e sostituiti con tigli. Benissimo, rispetto alla memoria orginaria, ma contraddittorio: si abbattono pini enormi senza capire i motivi e vengono rimpiantati tigli, che, essendo piante d’alto fusto, comunque presenteranno gli stessi problemi potenziali dei pini di oltre mezzo secolo abbattuti”.
“Ciò che è drammatico è che, a causa dei grandi lavori infrastrutturali delle linea 1 e 2 della tramvia, l’immagine odierna di questo viale è quella di un’arteria di scorrimento senza più alcun senso della bellezza, proporzione, studio originari. Non c’è neppure possibilità di un ritorno all’indietro – continua Bencivenni – è diventato uno snodo ferroviario, compresa la famosa palazzina del Mazzoni, che, sebbene sia stata riportata alle condizioni originarie per quanto riguarda la parte superiore, che era stata la parte più manomessa nel corso della seconda guerra mondiale a causa dei bombardamenti, ha visto lo svuotamento totale di quella inferiore, che era anche l’unica parte originale rimasta. Il portone di ingresso della palazzina è stato trasformato in un tunnel ferroviario. Pongo questa domanda a chi si occupa di architettura e a chi ha autorizzato quest’operazione, dagli uffici comunali alla soprintendenza: com’è pensabile che un’architettura si ripristina in stile nella parte superiore e si sventra la parte originaria che è arrivata a noi trasformando un ingresso di un palazzo con i propri ambienti, in un tunnel di passaggio per i treni tramviari?”.
Una vera aporia nel canpo del restauro architettonico e un assurdo sul piano teorico e pratico: la palazzina infatti ha impedito, nella sua qualità di monumento nazionale, l’edificazione in quel luogo della stazione ferroviaria di Zevi. Se era così importante, dice il porfessore, non si capisce perché si accetti che al piano terra (parte originale) diventi un tunnel per treni. “I treni potevano passare lateralmente”, dice Bencivenni. Mentre, “per quanto riguarda l’eredità della sistemazione a verde del viale in curva, che prima dei lavori della tramvia poteva essere comunque ancora rispettata e recuperata, oggi è irreparabilmente compromessa”. E le essenze ripiantate? “All’inizio del viale Belfiore esse sono oggi sostituite da pali elettrici, negli altri tratti avranno bisogno di decine e decine di anni per tornare alla situazione precedente gli abbattimenti”. Un altro punto critico per il professor Bencivenni è la scelta di Tutto questo è la conseguenza del progetto finale per la liea 2 di entrare a raso dalla direttrice Viale redi verso via Guido Monaco provocando una vera e propria rivoluzione del traffico veicolare di superfice che ha profondamente inciso anche sulle alberature del tratto finale della parallela viale Fratelli Rosselli.
“Una scelta che manda le auto a Porta a Prato, dove trovano la nuova corsia che entra in via Fratelli Rosselli e torna indietro. Oltre alla perita di carreggiate a causa del sedime della linea 1, si è dovuto allargare le sedi stradali, motivo per cui sono cascati i tigli ricordati nella precedente puntata, dando luogo a scelte progettuali che incidono in maniera pesante e in molti casi irreversibile sull’immagine della città ottocentesca storica. La logica dovrebbe essere: se un progetto, ancorché lo si ritenga utile, distrugge questa città, va cambiato il progetto. In altre parole, va trovato un progetto che realizzi ciò che si deve realizzare senza distruggere. Credo che la vera “modernità” consista nel risolvere i problemi che ci ritroviamo con soluzioni che siano avanzate e innovative, ma che non distruggano il passato. Altrimenti, come lucidamente sosteneva Max Dvořák nel suo ancora oggi attuale Catechismo per la tutela dei Monumenti (1916), è solo barbarie”.
Tirando le fila, le origini del verde urbano pubblico di Firenze (messe in forte pericolo dalle nuove soluzioni, dice Bencivenni) era un sistema basato sull’anello dei viali, in riva destra e in riva sinistra, e le Cascine. Poi, la sistemazione a verde dei parterre interni. La città storica, quella medioevale e addirittura romana, poi rinascimentale, era, spiega il professore, “una città compatta. Le mura inglobano non solo il costruito, ma terra, natura. il nucleo vecchio, quello mediovale e poi rinascimentale, era compatto. Lì il verde non c’era, esisteva nelle corti interne, ma esternamente no; anzi, era vietato mettere alberi nelle piazze e nelle strade, in quanto, essendoci palazzi alti la carenza di sole non permetteva alle piante di crescere, e anche perché le piazze esistevano per attività collettive, come i mercati o le feste. Tuttavia bastava uscire dal nucleo antico compatto per trovare dentro la ultima grande cerchia muraria arnolfiana, quella appunto sostituita dai viali circondari per trovare campi aperti, boschetti, giardini ed orti dei conventi e delle residenze signorili. E’ con la città dell’era industriale, che si saturano questi ivuoti degli orti e dei campi dentro le mura, che nasce la richiesta di verde. Il Poggi interpreta questa necessità di fare respirare e connettere la città con quei vuoti di verde già preannunciati nelle prime sistemazioni realizzate in epoca francese delle strade lungo le mura costeggiate da gelsi. Chi manteneva le piante, poteva utilizzare le potature per la sericoltura, che incrementava l’industria della seta. Le potature venivano contate come stipendio. L’altro spazio pubblico a verde era il parterre di San Gallo, che era però al di fuori delle mura. Ecco perché è grazie al piano Poggi e all’aiuto per la sua attuazione di un tecnico dei giardini e dell’orticultura come Attilio Pucci, che Firenze si arricchì di un sistema di verde urbano pubblico degno delle più importanti capitali europee. Ma è proprio questa eredità che si sta stravolgendo e distruggendo”.