Firenze – E’ di Lapo Maria Pazzagli (autore fiorentino che attualmente vive e lavora a Parma) il romanzo Penelope è partita (pubblicato da thedotcompany – guarda e acquista).
Un libro di formazione cui fa da sfondo Ios, piccola isola delle Cicladi, cara ai poeti (qui si dice sia sepolto il grande Omero) e ai giovani. Isola incantata, al tempo stesso luogo per eccellenza del disincanto e per certi versi di perdizione, in cui restano «impigliati», anno dopo anno, estate dopo estate, il protagonista e i suoi giovani amici, tutti fiorentini di buona famiglia.
Essi, accomunati dai «medesimi input, come l’essere derubati da anni dagli stessi negozi di vestiti», oppure dalla passione per la stessa musica, o per il calcio e per la Fiorentina, si lasciano andare, durante le vacanze estive, alla frequentazione festosa e ossessiva dei piccoli locali notturni che punteggiano l’isola, alla ricerca di amori casuali oppure di spiagge dense della luce accecante delle estati greche, mettendosi in definitiva al sicuro dall’eventualità di una maturazione, di una crescita.
Alcol e amici, alcol e amori estivi, alternando smemoratezza (ci si può perfino dimenticare di essersi fidanzati durante una delle tante notti di incoscienza) e ricordi talvolta dolenti; e ci si può addirittura svegliare con un assurdo tatuaggio al tallone, senza neanche avere memoria del suo perché o del suo per come.
Come nell’isola che non c’è, un gruppo di Peter Pan mescola un’allegria prorompente ai fumi dell’alcol e ai postumi delle sbronze. In fondo, a pensarci bene, non c’è molta differenza con gli hippy degli anni 60/70; i luoghi sono gli stessi, anche gli amori, la bellezza, lo stesso bisogno disperato di cancellarsi a se stessi.
Vengono in mente le originali e forti considerazioni dello psicoanalista e scrittore James Hillman che, a proposito di certe dissolutezze giovanili, parla di territori pericolosi dell’anima, di quell’insieme di sfide estreme che solo i giovani riescono a lanciare, quasi a voler ricordare, con tutta la contraddittorietà della loro spensieratezza, che, a differenza degli adulti, essi sanno bene cosa sia la morte. La sfidano, la sfiorano, la cercano, la frequentano, talvolta purtroppo la abbracciano, esagerando ogni notte, senza l’ipocrisia e lo spavento con cui il mondo adulto cerca di rimuoverla.
In fin dei conti il protagonista, Jimmy, che si fa carico della narrazione di questo romanzo, a un certo punto lo dice chiaramente: «io sono l’unica persona al mondo che beve per ricordare»; in sottotraccia emerge infatti un evento in parte rimosso, un amico scomparso prematuramente in un incidente stradale e sepolto alle Porte Sante a San Miniato al Monte. Ecco, bere fino allo sfinimento, per essere in grado di sostenere la portata di tale ricordo.
Ma l’allegria ha sempre la meglio; dominano, infatti, come in una sorta di mondo laterale, la leggerezza, lo spirito sarcastico tutto fiorentino, le battutacce cameratesche sulle rispettive frequentazioni amorose, superficiali e profonde insieme, comunque maledettamente necessarie. C’è talvolta, nei passaggi più divertenti, come un lontano sentore delle mitiche avventure dei protagonisti di Amici miei (come di quelle di tanti classici del genere «romanzo di formazione»); i dialoghi sono vivaci, la prosa scattante, densa di ironia e di giocosità. Mentre l’alcol scorre a fiumi: Lamborghini, Scottish, Cuba Libre, Ouzo, Long Island.
Jimmy vive e si guarda vivere. Si abbandona agli eccessi, ma registra al tempo stesso (o fa annotare addirittura, da un amico, in un episodio centrale del romanzo) con lucidità le sue debolezze, le sue esagerazioni, l’incompiutezza di una maturazione che stenta ad arrivare; tale atteggiamento riflette per certi aspetti la condizione dell’inetto resa celebre dal romanzo di Italo Svevo, La Coscienza di Zeno. Jimmy stabilisce, ad esempio, un rapporto contraddittorio con il vizio del fumo nel suo caso «nato per amore» senza più riuscire a liberarsene per la sostanziale mancanza di «voglia di aver voglia» di cambiare.
E la splendida Ios è complice, artefice di quell’autoinganno che tiene il gruppo di amici saldamente legati all’adolescenza, ed essi lo sanno, ma sono incapaci di compiere quel salto che pure qualcuno di loro è riuscito a realizzare, trovando un lavoro, oppure con la laurea o tramite quel rapporto affettivo maturo che sotto sotto ciascuno desidera, ma non sa creare.
Bisogna tenersi accanto a questo genere di scrittura, a ciò che viene raccontato, senza la tentazione di ingombranti sovrapposizioni, perché questa è la cifra dell’essere giovani, del loro modo di divertirsi che alla lettera vuol dire «andare di qua e di là»; allora andiamo, accanto a questi ragazzi, seguiamoli tra localini ed incontri amorosi, atteggiamenti camerateschi e iperboliche sbronze, tra momenti di allegria e tristezze più o meno dissimulate.
L’amicizia, come abbiamo detto, è centrale in questo libro e si presenta come un legame dal sapore ancora adolescenziale; perché anche gli amori presi con assoluta serietà, che si vorrebbero eterni, alla fine si interrompono, la malinconia prende il sopravvento, ma si smorza nel giro di poco. L’amicizia, al contrario, resta; dice Epicuro: «una cena da soli è un pasto da lupi».
Ma stavolta Pelenope è partita, forse su un traghetto che si allontana dallo smagliante potere illusionistico dell’isola, oppure ha smesso di tessere la tela dei rinvii delle buone intenzioni, ha reciso finalmente il filo che costringe a ritorni sempre uguali. A patto che ci si allontani dalla meravigliosa malia di Ios, terra di poeti e di ragazzi.
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Il libro di Lapo Maria Pazzagli Penelope è partita (editore Thedotcompany) verrà presentato il 19 febbraio 2020 alle ore 18 presso la Libreria IBS-Libraccio Via de’ Cerretani, 16R, Firenze.
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