Prato – È dalla fine dell’estate che si parla in più modi di Napoli a cominciare dai film proiettati nelle sale cinematografiche, aperte dopo il forzato lockdown, dapprima con la storia di Eduardo Scarpetta, il grande attore ed autore di teatro napoletano magistralmente interpretato da Toni Servillo che con “Qui rido io”, per la regia di Mario Martone, ne racconta la nuova sensibilità scenica e l’arte moderna della maschera di Don Felice Sciosciamocca che prese il posto di Pulcinella.
Poi con “La mano di Dio” il testo autobiografico del regista vomerese Paolo Sorrentino che fissa su pellicola vizi e virtù di un quartiere elegante di Napoli, il Vomero, mescolati all’euforia negli anni ’80 per l’arrivo in città di Diego Maradona il grandissimo giocatore argentino, attraverso gli occhi di un giovane ragazzo a cui il destino strappò troppo presto i genitori.
Avvicinandosi al Natale, come da tradizione, sulla prima rete Rai va in onda il teatro di Eduardo reinterpretato in “Sabato Domenica e Lunedí” dall’attore italiano Sergio Castellitto. Un secondo tentativo, dopo quello di “Natale in casa Cupiello”, seguito anche stavolta, da non poche polemiche. Tocca ad Alberto Angela paleontologo, divulgatore scientifico, giornalista e scrittore mettere tutti d’accordo, almeno i napoletani!, con “Una notte a Napoli” (a nessuno è sfuggito il paragone a favore di Angela su Corrado Augias e la sua discussa puntata su Napoli andata in onda un po’ di tempo fa). Un successo di pubblico quello attribuito ad Angela forse perché viene mostrata la città come essa è realmente, grazie all’uso sapiente delle telecamere che, senza retorica hanno acceso la luce su luoghi famosi ed altri meno, unitamente a panorami mozzafiato.
Per Napoli hanno parlato solo le immagini di antichi palazzi nobiliari, musei, chiese, presepi, piazze, strade, vicoli, teatri, cappelle, ingentilite a tratti da voci amate ai telespettatori, che raccontavano il dramma antico di “Filumena Marturano”, moderno del presepe di “Casa Cupiello”e ineluttabile de “‘A livella” di De Curtis. Come anche le nostalgiche canzoni di perduti amori e di sapori antichi: il rito del caffè che tradizione partenopea vuole rigorosamente servito già zuccherato in tazza bollente accompagnato da un bicchiere d’acqua.
A breve sempre sulla prima rete della Rai verrà trasmessa la storia dei fratelli De Filippo, il film del regista Sergio Rubini che ha conquistato la critica ed è stato presentato in concorso alla Festa del Cinema di Roma di quest’anno. Un ritratto quasi inedito di giovani talentuosi attori di teatro napoletani, Titina, Eduardo e Peppino che decidono,ad un certo punto, di fondare una loro compagnia teatrale, “I De Filippo”, allontanandosi da quella famosa dello “zio Scarpetta”.
Insomma Napoli e i suoi racconti a quanto pare piacciono ancora forse perché sospesi tra il sacro ed il profano, tra storia e leggenda,magia e scienza occulta infarcite di malinconia e miracoli o di geniali burla. Qui più che altrove traspaiono gli autentici stati d’animo di una popolazione che unica al mondo sottoscrisse nel 1527 davanti a tre notai un atto in cui si impegnavano a dedicare a San Gennaro una Capella senza pari in cambio della fine delle peste che li aveva stremati.
Un vero e proprio accordo ultraterreno con il Patrono della loro città che a quanto pare dette i risultati sperati. Perché per il napoletano, San Gennaro che sta in cielo ha il dovere di aiutarlo se in difficoltà e viceversa. E così accade anche che a Napoli, in cambio di protezione,le preghiere dei napoletani aiutino quelle anime sole a trovare la strada per il Paradiso, (culto delle anime pezzentelle).
Spazio quindi alla gioia e al dolore, all’amore e morte, alla povertà e alla ricchezza, alla miseria e nobiltà ovvero a quell’imprinting sociale che separa il nobiluomo napoletano dal “muort e famm”. Una distanza sociale che se diviene sopruso si riscatta attraverso il ricorso all’uso irriverente e rivoluzionario del volgarissimo pernacchio. Come accade nel film “L’Oro di Napoli” (tratto dal romanzo di Giuseppe Marotta), grazie a don Ersilio Miccio che “vende saggezza”, interpretato da Eduardo de Filippo.
E “Attenzione la pernacchia è una cosa scadente e di pessima qualità; un parente povero del grande pernacchio. La pernacchia la fanno in tanti, il pernacchio solo in quattro lo sanno fare in tutta Napoli e quindi nel mondo”, come dire, che per i napoletani esistono Napoli e o “munno”! .
Foto di Patriza Scotto di Santolo