Firenze – Non va tutto bene al carcere di Sollicciano. A dirlo, sono i numeri, impietosi, che emergono dalla visita fatta ieri dalla delegazione dell’Associazione Progetto Firenze, composta da Grazia Galli, Sandra Gesualdi, Donella Verdi, Emanuele Baciocchi, Dmitrij Palagi (consigliere comunale), Massimo Lensi. Tra i partecipanti anche l’avvocato Massimiliano Chiuchiolo (Osservatorio Carcere della Camera Penale di Firenze).
Fra i dati positivi, il fatto che il contrasto al Covid sembra funzionare. Il reparto Covid interno all’istituto è stato trovato senza pazienti dalla delegazione, mentre la campagna vaccinale, su base volontaria, è avvenuta con una copertura di circa l’80% dei detenuti.
Tuttavia, la lista delle criticità è lunga e preoccupante. Come rende noto la delgazione, la direzione del carcere è ancora pro tempore, mentre il corpo di Polizia Penitenziaria è sotto organico. Sotto organico anche l’area educatori e, ulteriore nota dolente, il personale sanitario non solo è sotto organico, ma in buona parte precario.
Ancora un volta, il problema del sovraffollamento pesa. Nell’istituto si trovano 633 detenuti (su una capienza regolamentare di 491 posti più 35 posti non disponibili), 569 uomini (di cui 335 al giudiziario, custodia cautelare), 64 donne (di cui 27 al giudiziario), bambini 1 (nato il 27 luglio, pochi giorni fa). La percentuale di sovraffollamento rispetto alla capienza regolamentare la dice lunga, ponendosi al 128%. Fra i punti più inquietanti, senz’altro quello dell’aumento delle patologie psichichiatriche.
Il quadro che emerge dalla freddezza dei numeri rispolvera per l’ennesima volta un problema gigantesco, che riguarda non solo l’obiettiva situazione dei detenuti in Toscana, ma anche alcune criticità sintomatiche di una situaizone che, lungi dal migliorare, ha visto, nel corso della pandemia, precipitare alcune situazioni.
“Fra le varie criticità che affliggono Sollicciano, alcune chiedono risposte precise – dice Massimo Lensi – come ad esempio la presenza della bambina di 5 giorni nel nido del carcere. La madre sta attendendo i farmaci dall’ospedale in cui ha partorito. Ovviamente la domanda è: perché la madre e la bimba sono a Sollicciano? Che fine ha fatto il famoso, promesso da 25 anni, Icam, ovvero istituto custodia attenuata madri detenute? I percorsi amministrativi sono partiti da tempo, perché non esiste ancora a Firenze?”. Un problema che rischia di avere presto un’altra piccola vita in custodia. Infatti, un’altra detenuta sta aspettando un figlio. e comunque, dice Lensi, “da quando si fanno queste visite in carcere, non ho mai trovato il nido senza bambini”.
Altro nodo, quello dei lavori in corso nella periferia sud del carcere fiorentino, dove si trovano le sezioni femminile, il reparto psichiatrico, e la sezione dei transessuali. Quest’ultima, denuncia la delegazione, non c’è più: “sgomberata” dai lavori in corso, le detenute sono state “deportate” al carcere di Biella e a Roma Rebibbia. Con quali ricadute per lo strappo dal territorio, abbiamo già più volte illustrato. Per quanto riguarda la sezione del giudiziario, la delegazione non è potuta entrare in quanto si stava procedendo alla disinfestaizone dalle cimici.
Un altro punto molto inquietante è l’aumento delle patologie psichiatriche avvenute in questi ultimi due anni. “A parte il dato oggettivo della grande professionalità dei medici, infermieri e di tutto il personale sanitario che opera all’interno di questa sezione – continua Lensi – esiste un punto di principio a mio parere inderogabile. Se il periodo di osservazione è comprensibile che venga mantenuto all’interno del carcere, una volta appurata la patologia psichiatrica, è un problema di principio il fatto che il detenuto venga curato non dentro il carcere, ma fuori. Non può e non deve restare in carcere a curarsi, altrimenti di riproducono i reaprtini psichiatrici degli anni ’70-’80”, vale a dire, aggiungiamo noi, ciò che la nuova legge vorrebbe scongiurare. “Il covid ha pesato fortemente sulla salute psichiatrica dei detenuti, in particolare a lunga pena – aggiunge Lensi – del resto, il probpmea psichiatrico è da sempre connaturato al carcere in qunato modalità di segregazione con le caratteristiche attuali”. Un discorso che si interseca con l’altra grande promessa oggettivamente mancata, vale a dire quella della rieducazione o meglio, della risocializzazione del dentenuto, obiettivo cui dovrebbe tendere la pena carceraria. “A parte il problema degli educatori sotto organico – continua Lensi – il vero nodo è sistemico, nel senso che se il carcere non viene ricompreso nelle problematiche generali della città, sviluppando con essa una relazione funzionale, è impossibile sperare di mettere in piedi una risocializzazione. Tenere dentro le persone a non far niente è il nesso che riconduce alle patologie psichiatriche e non solo”.
Non solo, in quanto il carcere ad oggi è istituzione che fa ammalare: fisicamente, nel senso che i detenuti soffrono sovente di patologie di tipo polmonare ad esempio, ma anche di tutto ciò che è possibile trovare in luoghi malsani e sovraffollati, senza contare che malattie di cui magari sono afflitti prima della detenzione si sviluppano rigogliose nelle condizioni detentive, ma anche, come accennato prima, psichiatriche. Da questa constatazione oggettiva, ne deriva che la sanità, che è di competenza regionale, in carcere dovrebbe funzionare di più e meglio. Invece.
Invece, come spiega Lensi, amare conferme, più che sorprese. Ad esempio, il fatto che, nonostante la professionalità altissima, la maggioranza degli operatori sanitari in carcere sono precari, con contratto a progetto. Non certo solide basi per porre un presidio stabile, che possa occuparsi della salute di 650 persone in condizioni insalubri, per utilizzare un eufemismo. “Vogliamo prendere in considerazione il problema? – dice Lensi – faccio un appello la garante regionale Giuseppe Fanfani affinchè si attivi per prendere sotto la sua diretta osservazione la sanità carceraria. Nei prossimi giorni chiedo ufficialmente un incontro col garante. E lo invito a recrsi in visita a Sollicciano, magari per ferragosto”.
“Si sta parlando di riforma della giustizia in Italia – dice ancora Lensi – ma entrando nei carceri, ci si rende conto che in Italia la giustizia è ancora di classe: dentro si trova marginalità, piccoli criminali, disagio. Se le problematiche del carcere non vengono inglobate nella città, l’istituto rimarrà la discarica sociale che attulamente è. L’inversione di tendenza è possibile con la dercarcerazione collegata all’aumento del peso delle misure alternative e della giustizia riparativa”.