Firenze – Il Natale 1957. Della nascita di «Testimonianze», personalmente, non ho ricordi. Ero troppo piccolo. Fu fondata, a Firenze, nel lontano 1958. Da Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, Mario Gozzini e Federigo Setti. Il battesimo della rivista, anzi, pare risalire alla fine del 1957, a quel che ne scrive lo stesso Balducci, ricordando che era «il Natale 1957, quando insieme a un gruppo di amici -i primi redattori- festeggiai la nascita di «Testimonianze»1.
Dell’esistenza del periodico fiorentino io ebbi cognizione a metà anni sessanta, a casa del mio parroco, che ne aveva sul tavolo di salotto una copia in cui risaltava un lungo articolo sull’impegno antifranchista (in un tempo in cui le gerarchie ecclesiastiche erano in genere molto benevole verso il dittatore madrileno) di alcuni movimenti cattolici spagnoli. Era lo stesso parroco che mi aveva fatto leggere, in forma ciclostilata, gli scritti di don Lorenzo Milani che poi sarebbero stati raccolti e stampati in libro sotto il titolo Perché l’obbedienza non è più una virtù.
Ero un ragazzo e non avevo ancora molti strumenti culturali per intendere tutto. Ma capii, questo sì, che quello era materiale culturalmente esplosivo. Un indizio, di grande rilievo, del sommovimento culturale che, in quegli anni si andava preparando. Venne il ’68, venne la contestazione e di «Testimonianze» (anche se a volte ne avevo notizia, soprattutto per le posizioni che Balducci prendeva contro la guerra nel Vietnam) non ebbi più occasione di occuparmi. Fu «Testimonianze» che, ad un certo punto, sembrò quasi venirmi incontro. Così, si sa, sono spesso le cose della vita. Casuali e, proprio per questo, destinate ad assumere importanza.
La storia di un incontro (anzi, di molti incontri)
Abitavo allora in Valdelsa e frequentavo ogni tanto, a Borgatello, un delizioso pugno di case fra Colle Val d’Elsa e S. Gimignano, la casa e la parrocchia di don Auro Giubbolini. Un luogo aperto, in ugual misura, a credenti e non credenti (tra i quali mi sembrava allora di potermi collocare). Don Auro era stato compagno di seminario di don Lorenzo Milani e a Borgatello, con spirito milaniano, anche se non con l’intensità di lavoro del priore di Barbiana, gestiva un piccolo doposcuola.
Era uomo apparentemente semplice e di poche e asciutte parole, ma di grande apertura mentale. Aveva buone frequentazioni: da lui passava ogni tanto il futuro europarlamentare ed esponente ecologista (poi scomparso tragicamente) Alex Langer (che aveva frequentato anche La Pira, Balducci e l’ambiente di «Testimonianze») e, nella sua sperduta abitazione di campagna, si recavano gruppi di rinnovamento ecclesiale che venivano fin dalla Francia.
Singolare era anche la posizione politico-culturale di don Auro: che oltre ad essere schierato con le Comunità di Base del «mondo cattolico», era vicino ai movimenti di quella che veniva allora definita come «nuova sinistra» e, soprattutto al «Collettivo Operaio» di Colle Val d’Elsa. Una bella esperienza, germinata però da una rottura «a sinistra» nel sindacato e nel Partito comunista.
La morale della favola fu che il parroco di un minuscolo borgo di campagna riuscì ad attirarsi in un colpo solo le ire della Curia e del potente PCI locale. Aveva numerose amicizie fiorentine, don Auro: presso la Comunità dell’Isolotto di don Mazzi e presso «Testimonianze». Anche sul tavolo del suo studio, come nella parrocchia che avevo frequentato da ragazzo, la rivista era in bella vista. «Ah, “Testimonianze”: esce ancora?», credo anche di aver chiesto, con un po’ di sciocca supponenza di sapore laicista.
Comunque sia, fu a casa di don Auro che conobbi Lodovico Grassi che di «Testimonianze», insieme a Balducci, era stato giovane co-fondatore. Lodovico era là per acquistare una damigiana di buon vino rosso. Parlammo a lungo e rapidamente diventammo amici. Da lui avrei imparato molto: inclusa la consapevolezza dell’importanza della cultura come chiave per la comprensione e la trasformazione della realtà.
Dopo di lui avrei conosciuto Luciano Martini, che di «Testimonianze» era allora (giovane) direttore. Lodovico e Luciano: per me due amici fraterni. Ora che, entrambi, non ci sono più, voglio qui ricordarli con gratitudine ed affetto, per la loro umanità, per la loro fede combinata con un’inequivocabile laicità, per lo spessore culturale del loro impegno civile.
Per «Testimonianze» avrei da lì a qualche anno iniziato a scrivere e poi mi sarei trovato corposamente impegnato nel lavoro associativo e redazionale negli anni ottanta, quelli dei convegni «Se vuoi la pace prepara la pace», dell’impegno sul tema Nord-Sud, sui diritti umani, sul dialogo fra movimenti dell’Est e dell’Ovest, della discussione sulla prospettiva dell’uomo planetario delineata da Ernesto Balducci.
Con Balducci, il mio primo confronto a quattr’occhi l’ho avuto a metà anni settanta. Una lunga chiacchierata di cui ho viva memoria e che, per me, giovane in ricerca, fu molto importante. Più che di temi sociali parlammo di questioni esistenziali. Anche dei «temi ultimi» relativi al senso dell’esistenza. Ricordo nitidamente che Balducci disse: «Se non ci fosse la Resurrezione, la morte l’avrebbe vinta su tutto».
E’ quanto avrebbe affermato anche in un dialogo a distanza con l’intellettuale francese Roger Garaudy2 (allora marxista antidogmatico, in polemica con il suo stesso passato stalinista), quando ebbe a dire: «Non parlerei della Resurrezione se essa non avesse nulla a che vedere con la mia morte imminente» sottolineando il carattere non metaforico o puramente simbolico di tale riferimento. A riprova del fatto che per il fondatore di «Testimonianze» la radicalità delle posizioni in campo sociale e politico non andava affatto a detrimento (e non comportava affatto una messa in questione) del suo essere uomo di fede, prete, cristiano.
Nella «grande Firenze» di una volta
Due sono, mi pare, i rimandi da fare per inquadrare la vicenda di Ernesto Balducci e quella di «Testimonianze». Il primo (è quasi ovvio) va fatto riandando alla «grande Firenze» in cui «Testimonianze» germinò, nacque e trovò alimento. Firenze, come è noto, è stata la città in cui si sono sviluppate le originalissime esperienze di gruppi, movimenti e personalità di un vivace e coraggioso «cattolicesimo democratico».
Viva era la lezione di figure come quella del card. Elia Dalla Costa, prelato certo non di inclinazione progressista, ma di grande apertura e ispirazione pastorale, che ebbe il merito storico di sprangare le porte e le finestre dell’arcivescovado in faccia al corteo di Mussolini e Hitler, osannati da folle plaudenti. Qui operavano personalità come quella del «sindaco santo» Giorgio La Pira, siciliano, nativo di Pozzallo (dove oggi spesso approdano i migranti), ma fiorentino di elezione e di vocazione, capace come nessun altro di esaltare l’immagine di Firenze città-simbolo (di valore universale) del dialogo, della pace e dei diritti umani.
O come quelle di Lorenzo Milani, di David Turoldo (che fiorentino non era, ma che con questa città aveva stabilito un rapporto particolarissimo), di Renzo Rossi, di Danilo Cubattoli, di Luigi Rosadoni e dello stesso Ernesto Balducci. Ma a Firenze non c’era solo un mondo cattolico attraversato da fermenti culturali, spirituali e politici di singolare apertura al nuovo. Anche gli ambienti laico-socialisti e comunisti si distinguevano per la loro capacità di dare spazio a figure di significativa levatura e di notevole apertura culturale.
Vengono in mente nomi come quelli di Piero Calamandrei, del fondatore di Scuola-Città «Pestalozzi», Ernesto Codignola, Giorgio Spini, il sindaco Mario Fabiani, Cesare Luporini, Eugenio Garin. Va considerato come, nel capoluogo toscano, a differenza che altrove, ambienti culturali e politici diversi, spesso, riuscivano a parlarsi e a dialogare fra loro, in un tempo in cui le differenti appartenenze vivevano spesso chiuse in comparti stagni.
A Firenze, no. O, almeno, non sempre. In un’epoca in cui la tendenza prevalente era quella di erigere muri e barriere qui c’era chi cercava di costruire ponti. Un’altra importante rivista che fu fondata in quei tempi difficili si chiamava, guarda caso, «Il Ponte», Con questo spirito fu fondata anche «Testimonianze». Come rivista della cultura del dialogo.
Nata in ambiente cattolico, ma geneticamente portata, fin da subito, al dialogo ecumenico fra fedi e religioni diverse e al confronto aperto e costruttivo con i non credenti e destinata nel tempo a caratterizzarsi per un tasso crescente di «laicità» (comprovata dalla condivisione, da anni consolidata, dell’impegno comune nel comune lavoro redazionale di credenti e di non credenti). Per quel che riguarda il percorso specifico di Balducci, in cui certo Firenze conta molto (basti solo pensare alla sintonia con La Pira, che lo chiamò a prendere in mano la San Vincenzo a partire dalla convinzione che egli fosse «il prete meno clericale che io conosca»), resto convinto che grande importanza vada attribuita alla sua origine e alle sue radici nella terra dell’Amiata3. Una terra in cui si viveva, come egli diceva «al confine tra miseria e povertà», ma in cui mai si erano appannati lo spirito di solidarietà, l’allegria della povera gente e la speranza in un domani migliore.
Dal villaggio alla civiltà planetaria
L’ottocentesco profeta degli ultimi, il visionario David Lazzaretti, ucciso da un regio carabiniere, i «martiri di Niccioleta», minatori fucilati dai nazisti, il fabbro anarchico Manfredi (da cui, da ragazzo, Balducci fa alcuni mesi di apprendistato, assimilandone, forse, lo spirito ribelle e ammirandone la dirittura morale), il dirigente comunista Ferdinando Di Giulio, capogruppo alla Camera, con il quale (sia pure in tempi di «guerra fredda») si era stabilito un rapporto di stima e di amicizia: sono queste le memorie vive che fanno da ineliminabile retroterra e da fonte di ispirazione ad un intero cammino di carattere spirituale, culturale e politico.
Balducci è, idealmente e contemporaneamente, cittadino di S. Fiora, cittadino di Firenze e cittadino del mondo. La memoria del villaggio delle origini, l’impegno culturale e civile nella sua città di elezione e la proiezione verso la civiltà planetaria, nella sua elaborazione, convivono e si compenetrano4. Senza il riferimento a questo orizzonte, è difficile cogliere il segno profondo del suo inesausto lavoro nell’ambito della Chiesa, della società civile e della cultura. Un percorso di cui egli stesso fornisce puntuale ricostruzione e dà testimonianza nel bel libro intervista Il cerchio che si chiude5.
«Il mio compito di educatore sarà una fondazione culturale della non violenza», dichiara. Un compito che egli cercherà di assolvere, senza risparmio di energie e all’insegna di una forte originalità culturale, con battaglie come quella che lo accomunano a don Milani per la difesa dell’obiezione di coscienza, ma anche con la fondazione di «Testimonianze» e, molto più tardi, delle Edizioni Cultura della pace.
Di questo danno attestazione i suoi scritti: gli articoli che egli ha scritto, in ogni volume della sua rivista, finché ha avuto vita, i suoi molti libri (da Papa Giovanni a Diario dell’Esodo, da Il terzo millennio, a L’Uomo planetario, da Le tribù della terra a La terra del tramonto), i suoi moltissimi testi pubblicati su una notevole varietà di giornali e riviste, le sue interviste. Era un messaggio che tuttavia veniva da lui rilanciato, diffuso e discusso in un’infinità di iniziative pubbliche a cui, girando instancabile per la penisola (anche se, come inclinazione, sarebbe stato in realtà un uomo stanziale), si rendeva disponibile a partecipare.
La sua vera vocazione, da grande affabulatore e come magistrale oratore, trovava espressione e realizzazione costante nel contatto con la gente delle parrocchie, delle case del popolo, dei circoli culturali, di grandi città e minuscoli paesini. Era per incontrare il suo pubblico che era continuamente in giro, in viaggio, per strada (pur volendo tornare non appena gli era possibile alla sua amata Badia Fiesolana). E fu per strada che trovò fatalmente l’appuntamento con il suo destino. Quando se ne andò, gli fu dato l’ultimo saluto in tre momenti. Alla Badia Fiesolana, dove l’arrivo del feretro fu accolto dal suono struggente dei flauti andini, in Duomo, a Firenze, dove fu celebrata la cerimonia per volere del card. Piovanelli, che rese omaggio a questo prete che si era mosso in partibus infidelium e, infine, a Santa Fiora, la terra delle sue radici, dove ora riposa.
Balducci e «Testimonianze»: storie che si intrecciano senza sovrapporsi
Per «Testimonianze», la ripresa del cammino, dopo la sua scomparsa, comportava naturalmente una nuova, e non leggera, assunzione di responsabilità. Vero è che Balducci, che della rivista era stato ideatore e fondatore, ne aveva sempre rispettato l’autonomia e considerava una ricchezza la pluralità di punti di vista che in essa si esprimeva. Non aveva mai voluto, se non nei primissimi momenti, esserne direttore.
E, infatti, la rivista è stata diretta, nel tempo e in successione, da Danilo Zolo, da Luciano Martini, da Lodovico Grassi e, ormai da non pochi anni, da chi scrive. Si intrecciano, naturalmente, la storia (culturale) della rivista e quella del suo fondatore, ma non sono esattamente coincidenti e non sono sovrapponibili.
Balducci scrive su ogni numero della rivista e partecipa, ma in maniera discreta seppur con un’autorevolezza indiscussa, alle riunioni di redazione. In genere, quando esse si svolgevano alla Badia Fiesolana, con inizio alle 18.00, arrivava puntualmente alle 19.00, quando il lavoro e la discussione avevano già preso un loro autonomo indirizzo. Naturalmente, quel che egli diceva veniva sempre ascoltato e accolto con un’attenzione particolare, senza però che questo interferisse con le decisioni che la direzione e il collettivo redazionale stavano in quel momento assumendo.
Ho sempre visto in questo suo modo di rapportarsi alla realtà da lui stesso fondata un atteggiamento di grande rispetto, di considerazione della pluralità dei punti di vista, di spinta alla maturazione ed all’assunzione collegiale di responsabilità. Di strada «Testimonianze», negli ormai sessantadue anni del suo percorso (che è passato attraverso varie fasi culturali e politiche e si è dovuto confrontare con profondi mutamenti nella società, negli stili di vita, nei modi di pensare) ne ha fatta.
Qui è possibile solo accennare ad una possibile periodizzazione (pur nella fedeltà indiscussa ad alcuni principi di fondo) della sua vita interna e della sua linea editoriale: da un primissimo periodo in cui la rivista si è presentata, nel «mondo cattolico», come fautrice di quel rinnovamento che poi avrebbe trovato voce nel Concilio Vaticano II, ad un successivo momento in cui essa si è assunta il compito di fiancheggiare gli indirizzi più innovativi emersi in quel grande consesso e di chiederne puntuale e radicale attuazione, ad una fase ancora successiva (quella grosso modo, degli anni settanta) in cui l’accento è stato più messo sulle questioni di carattere politico e sociale, parlando anche espressamente di «scelta di classe» e stringendo un rapporto abbastanza forte e continuo con alcuni esponenti della «sinistra indipendente» (eletti con il PCI), come Adriano Ossicini, Elia Lazzari, Mario Gozzini, Pierluigi Onorato, Raniero La Valle, alla stagione dei grandi Convegni di «Se vuoi la pace prepara la pace» (degli anni ottanta, quando Balducci parla e scrive dell’uomo planetario) e dei movimenti per la pace e per i diritti umani.
Segue l’ultimo periodo (quello che va dagli anni novanta ad oggi), segnato da un inizio assai complesso e difficile, in seguito alla scomparsa di Balducci e alla scommessa (su cui «Testimonianze» ha comunque puntato) di continuare il suo percorso, mantenendo in spirito di libertà un riconoscibile rapporto con la lezione del suo fondatore e confrontandosi con i temi nuovi che il nostro tempo della complessità ci squaderna davanti e che ci impone di affrontare. Quelli dell’ambivalenza del «villaggio globale» in cui ci è dato vivere, sospeso fra nuove potenzialità democratiche (dati anche dall’inedito contatto fra porzioni di umanità che prima si ignoravano a vicenda) e gravi violazioni forme di sfruttamento e violazioni dei diritti umani.
«Il respiro sempre nuovo del mondo»
Il mondo, come Balducci e La Pira avevano insegnato, sembra sempre più sospeso su un crinale. Il suo destino è più che mai nelle nostre mani. In un tempo in cui le nuove frontiere delle comunicazione ci fanno sapere tutto in tempo reale, mancano spesso modalità e criteri per una ricezione non passiva di tale informazione «globale». In questa direzione, le riviste di cultura6 (che solo un’interpretazione superficiale ed unilaterale può rappresentare come strumenti di arcaico e un po’ patetico sapore novecentesco) segnalano un bisogno: quello della comprensione critica della realtà e di una lettura non «cursoria» dei fenomeni e dei fatti del nostro tempo.
Fatti che spesso veniamo a conoscere in una massa indistinta e costante di dati, immagini e suggestioni che istantaneamente percepiamo e che, con grande rapidità, rimuoviamo dalla mente. E’ in questo contesto che «Testimonianze», come sa e può, continua il suo cammino, confrontandosi anche con le nuove frontiere della multimedialità (con il sito www.testimonianzeonline.com, con la pagina Facebook, ecc..), ma anche e soprattutto cercando, con le iniziative pubbliche, di mantenere quel rapporto vivo e vitale di interscambio che sempre ha avuto con la città di Firenze e con molte realtà territoriali, soprattutto della nostra Toscana, ma non solo.
E’ vero: il locale e il globale sempre più si toccano. (….) E’ un impegno che continua, talora con fatica, ma anche con il sostegno di tanti amici cui non c’è che da essere grati, nella speranza di non discostarci troppo dalla bella immagine che Balducci aveva a suo tempo evocato e che, in conclusione, mi sento, con riconoscenza e commozione, di richiamare: «Il mondo è cambiato (…) la mia città non è più Firenze, è il pianeta, ma “Testimonianze” resta il focolare a cui ancora mi seggo per incontrare le generazioni che si succedono e mi trasmettono il respiro sempre nuovo del mondo».7
Foto: Ernesto Balducci
(Testo pubblicato nel volume L’altra Firenze. Antologia a cura di Moreno Biagioni, Edizioni del Grandevetro, Santa Croce sull’ Arno 2021)
1 La frase di Balducci è riportata (in quarta di copertina) nel Volume speciale di «Testimonianze» -Quaderno del Cinquantennale n.2, supplemento del n.451 della rivista) dal titolo Ascoltare il respiro del mondo. Il lungo rapporto di Ernesto Balducci con «Testimonianze».
2 Roger Garaudy, in un lungo e un po’ tormentato percorso, sarebbe poi approdato alla conversione all’ islam. Di R. Garaudy, le Edizioni Cultura della Pace di S. Domenico di Fiesole avevano pubblicato il libro autobiografico dal titolo: Il mio giro del secolo.
3 Alla «montagna incantata«, alla sua storia e alla sua gente sono dedicati gli scritti di E. Balducci raccolti nel bel libro Il sogno di una cosa (a c. di L. Niccolai, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole, 1993).
4 Non a caso, la bella manifestazione che fu organizzata a S. Fiora per il primo anniversario della scomparsa di Balducci (avvenuta, dopo un tragico incidente stradale, il 25 Aprile 1992) e a lui dedicata, si intitolava: Il villaggio, la città, il pianeta.
5 E. Balducci (intervista autobiografica a cura di L. Martini), ed. Piemme, Casale Monferrato 2000.
6 E’ della difesa e della valorizzazione del ruolo delle riviste di cultura che si occupa il CRIC (Coordinamento Riviste Italiane di Cultura), di cui è attualmente presidente Valdo Spini e di cui «Testimonianze» fa parte fin dalla fondazione. Molte sono le riviste italiane di cultura, tuttora attive, che aderiscono al CRIC e che, ogni anno, partecipano a Roma all’importante Festival della piccola editoria Più Libri Più Liberi.
7 E’ così che si sviluppa e si chiude il pensiero di Balducci dedicato al ricordo della fondazione di «Testimonianze» in Ascoltare il respiro del mondo, cit.