I commentatori di Dante e l’enigma di Cacciaguida

Firenze – Un poema come quello di Dante, così denso di significati riposti e di figure retoriche, di personaggi, luoghi, eventi storici non sempre conosciuti, di immagini mitologiche e citazioni, per essere fruito ha avuto fin da subito bisogno, anche fra i contemporanei lettori del sommo poeta, di ampi lavori di esegesi.

La Commedia, già alla fine del XIV secolo, divenne oggetto di studio e di pubbliche letture. Perciò apparve subito necessario avere a disposizione commenti al poema così che questo potesse essere meglio compreso. Il ruolo svolto dai primi commentatori è dunque molto importante. Pietro e Iacopo di Dante, l’Ottimo, Benvenuto da Imola, Iacomo della Lana e Francesco da Buti sono senz’altro esegeti danteschi di spicco, che meritano di essere riscoperti anche nelle loro singole fisionomie di studiosi. In rapporto al pisano Francesco da Buti, c’è una novità importante: la dottoressa Claudia Tardelli, che si è perfezionata in Filologia Italiana alla Scuola Normale Superiore e all’Università di Cambridge, sta ultimando una nuova edizione del commento dantesco che intende “ripristinare l’originale facies pisano antica e restituire una lezione quanto più vicina all’ultima volontà dell’autore”.

La dottoressa Tardelli ha pubblicato anche un interessante studio dal titolo “ Da lei saprai di tua vita il viaggio” Nota sulle diverse letture di Inf . X, 127-32, nel quale esamina due luoghi del testo dell’Inferno (X, 127-32 e XV, 88-90), piuttosto controversi e tra loro correlati, i quali hanno generato molte perplessità nei lettori.

Questi passi sono direttamente collegati con la vicenda dell’avo Cacciaguida, in particolare con la profezia relativa all’esilio del poeta. Scrive la dott.essa Tardelli che “a detta di Virgilio, il pellegrino saprà del proprio futuro da Beatrice, affermazione che verrà in seguito ribadita anche da Dante durante il suo dialogo con Brunetto Latini”. Tuttavia, com’è ben noto ai lettori del poema, non sarà Beatrice a svelare i particolari dell’esilio bensì Cacciaguida.

Tardelli ritiene che l’ipotesi, suggerita dalla maggior parte degli studiosi, che Dante abbia disatteso in maniera inconsapevole proprio riguardo all’esilio, cambiando idea in corso d’opera in favore di Cacciaguida sia, per quanto possibile, poco verosimile. In altre parole, secondo l’autrice Dante avrebbe costruito questa discrepanza di proposito. Contrariamente a quanto gli aveva detto Virgilio ─il quale, d’altra parte, vede le cose […] che ne son lontano […] come quei c’ha mala luce─ Il pellegrino Dante verrà informato del proprio doloroso esilio non da Beatrice bensì attraverso di lei. Sarà Beatrice a intercedere per lui e a condurlo, con quell’ardore di carità tipico delle anime beate, al cospetto del suo avo illustre Cacciaguida, dal quale, con lei a fianco e per intercessione di lei, apprenderà la dolorosa verità dell’imminente e inesorabile esilio. 

Torniamo all’ampio lavoro per una nuova edizione al Commento di Francesco da Buti in questa intervista alla studiosa

Quali manoscritti del Buti sta utilizzando ?

Il Commento alla Commedia, pubblicato per la prima volta in forma manoscritta e divulgato nella sua redazione definitiva nel 1396, è trasmesso da ventotto manoscritti. Di questi, soltanto tre lo conservano nella sua interezza, mentre i restanti tramandano o una redazione limitata ad una sola cantica (es. Inferno) o a due cantiche (es. Purg. + Par.). A seguito di uno studio accurato di tutta la tradizione manoscritta, e in mancanza di un manoscritto originale, ossia di mano dell’autore, per la nuova edizione si è scelto di adottare, come testo base, quello tramandato dal manoscritto cosiddetto ‘napoletano’, poiché conservato presso la Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’ della città partenopea, con la segnatura XIII C 1. Tre ragioni importanti hanno spinto verso tale scelta. Anzitutto il testo del napoletano, a differenza di quello adottato nell’edizione ottocentesca di Crescentino Giannini tutt’ora in uso, 1. trasmette il commento a tutte e tre le cantiche; 2. esibisce compattamente una patina linguistica pisano antica, in linea con la lingua dell’autore stesso; 3. è latore delle ultime redazioni del commento all’Inferno e al Paradiso, fino ad ora accessibili ai lettori soltanto attraverso la consultazione manoscritta ovverosia assenti nell’edizione ottocentesca del Giannini.

Nel manoscritto napoletano ci sono peculiarità rilevanti ?

Le peculiarità più rilevanti e significative, soprattutto se messe a confronto con il testo dell’edizione Giannini, riguardano anzitutto la lingua impiegata che, come si è detto, risulta essere pisano antica, a differenza di quella che si legge nell’edizione ottocentesca, molto più vicina al fiorentino piuttosto che al pisano poiché basata su un manoscritto diverso. Un’altra importante singolarità è rappresentata dalla qualità dell’esegesi stessa. Una caratteristica importante del napoletano è che in esso compaiono numerose rielaborazioni testuali attribuibili al Buti stesso. È un po’ come se, fino ad ora, nell’edizione Giannini avessimo letto la “prima bozza” del commento, divulgata nel 1394; diversamente, nella mia edizione, possiamo finalmente leggere per la prima volta la redazione definitiva del 1396.

Insomma il Buti studioso e commentatore di Dante interpreta, spiega e glossa il testo dantesco ma poi, spesso, complice il fatto che Dante il Buti lo insegnava e lo leggeva pubblicamente presso lo Studio Pisano, si trova a perfezionare o affinare le sue stesse interpretazioni, specialmente in rapporto alle terzine più spinose e difficili da spiegare del poema, in maniera non del tutto dissimile a quella che adotterebbe uno studioso odierno. È di questo comportamento che troviamo tracce evidenti nel testo del napoletano.

Le faccio un solo esempio. Paradiso XXVII, 136-38: Così si fa la pelle bianca nera / nel primo aspetto de la bella figlia / di quel ch’apporta mane e lascia sera. Cosa avrà mai voluto dire qui Dante, si sono chiesti un po’ tutti i suoi commentatori, dal ’300 in poi, e chi è la bella figlia?

In altre parole, questa terzina è una delle tante incognite dell’esegesi dantesca. Il primo interprete a suggerire di identificare la bella figlia con la maga Circe è stato Carmine Galanti, nel diciannovesimo secolo. La stessa interpretazione fu proposta anche da Michele Barbi nei famosi Problemi di critica dantesca del ’34, ed è, ad oggi, accolta dalla maggioranza dei commentatori. Studiosi importanti, tuttavia, hanno espresso riserbo nei confronti dell’interpretazione proposta del Barbi poiché, a loro giudizio, se la bella figlia fosse stata davvero da interpretare con Circe, i lettori medievali, tra i quali il Buti, che è uno dei più importanti, ne avrebbero dato notizia. D’altra parte fino ad ora gli studiosi hanno potuto leggere, tra gli altri, il Commento del Buti soltanto attraverso l’edizione Giannini, l’unica disponibile. Qui il Buti identifica la bella figlia con la Luna. Ma se andiamo a sfogliare la redazione definitiva del Commento, trasmessa nel manoscritto napoletano a base della mia nuova edizione, troviamo esattamente la stessa interpretazione che proporrà poi il Barbi, retrodatata di circa 5 secoli, laddove, nel commento al XXVII canto del Paradiso, il dantista pisano riconosce nella bella figlia proprio Circe, a differenza di quanto aveva fatto nella “prima bozza” del suo commento. In virtù di questo singolo esempio soltanto, Lei si renderà facilmente conto del valore aggiunto che questa nuova edizione può offrire agli studiosi di Dante e, più in generale, ai lettori tutti.

Si può dire in forma sintetica quali sono le caratteristiche di Francesco da Buti rispetto agli altri commentatori trecenteschi?

Anzitutto Francesco Da Buti è il primo e in assoluto più importante commentatore trecentesco del poema di Dante in un volgare toscano. Difatti, Guido da Pisa e Benvenuto da Imola avevano impiegato il latino nei loro commenti al poema, e il bolognese Iacomo della Lana un volgare padano. Il cosiddetto Ottimo fiorentino aveva sì commentato tutto il poema in volgare toscano, ma non verso per verso e parola per parola come farà poi il Buti e Giovanni Boccaccio vide interrotta dalla morte la sua lettura dantesca a Firenze.

Il commento assume un ruolo particolarmente importante per un Poema complesso come la Divina Commedia…

Il Commento del Buti, tra la fine del Trecento e i primi decenni del Quattrocento, figura in preziose copie manoscritte possedute dalle più importanti famiglie signorili (come i Gambacorta e gli Appiani di Pisa, i Guinigi di Lucca, e i Visconti di Milano), da monasteri e da molte famiglie fiorentine. Questi codici furono poi adoperati dall’Accademia della Crusca e si conservano oggi presso sedi importanti e prestigiose come la Laurenziana, la Riccardiana e la Nazionale di Firenze, la Nazionale di Napoli, la Vaticana e molte biblioteche internazionali, dal Regno Unito agli Stati Uniti. Il commento butiano, per la sua completezza, articolazione esegetica e capacità di approfondimento linguistico è stato, nei secoli XIX e XX, e resta oggi un punto di riferimento imprescindibile per l’esegesi dantesca.

Quando conta di terminare il suo lavoro e quando sarà pubblicato?

La nuova edizione del Commento di Francesco da Buti sarà presto pubblicata dalla Salerno Editrice (Roma) nella collana ”Edizione Nazionale dei Commenti Danteschi”.

Quali le prossime iniziative per ricordare la figura e l’opera di Francesco da Buti?

In occasione del VII centenario della morte di Dante (1321-2021), e grazie alla volontà e all’impegno del Professor Fabrizio Franceschini dell’Università di Pisa, si terrà proprio a Buti, una giornata di ricerca, spettacolo e cultura dal titolo Buti, Dante e il culto di Dante. Cronache del Trecento, commenti danteschi, Maggi e cultura contemporanea. La giornata vedrà intrecciarsi le fila di complesse esperienze storiche, scientifiche, culturali e artistiche tra Maggio, ottava rima e memorie dantesche e potrà contare sulla partecipazione di studiosi, intellettuali, registi di cinema, uomini e donne di teatro, che hanno valorizzato e riplasmato quelle tradizioni.

Claudia Tardelli in Gran Bretagna da molti anni, ha ricoperto posizioni di insegnamento e di ricerca presso varie università del Regno Unito, quali Cambridge, Leeds e Reading. Dal 2019, e docente di lingua e letteratura latina presso Future Academies, London.

Foto:  Claudia Tardelli

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