Firenze – Il Festival dei Popoli ha dedicato un’importante giornata ai Fratelli Dardenne: la mattina alla Compagnia i registi hanno tenuto una intensa master class a cura di Daniela Persico e in prima serata è stato proiettato il film premiato a Cannes “Tori e Lokita”, che a breve uscirà nelle sale. Il presidente del Festival, Alessandro Stellino, nel presentare il film insieme agli autori, ha evidenziato come il cinema dei Dardenne sia particolarmente necessario oggi perché l’universo cinematografico e audiovisivo è invaso da opere che glorificano le immagini a discapito delle storie narrate. Il cinema del reale richiama invece l’attenzione degli spettatori sulla complessità della vita sociale e sulle singolarità.
“Tori e Lokita” sono due minori africani alla ricerca dei documenti di soggiorno per vivere in Belgio. Si fanno passare per fratelli, anche se non lo sono. Le difficoltà burocratiche e la mancanza di denaro inducono i due bambini a mettersi a rischio, spacciando droga al servizio di un ristoratore. Nel finale del film il rapporto con la criminalità si rivela fatale.
I cineasti belgi hanno utilizzato come fonti per il film una documentazione sui migranti che arrivano in Belgio, ma non hanno rappresentato un preciso fatto di cronaca. I due ragazzi sono attori non professionisti. Il film ha uno svolgimento drammatico fluido ed essenziale. La complicità dei due falsi fratelli mostra l’ingenuità dell’infanzia, la non percezione del rischio e della gravità delle situazioni. I Dardenne denunciano una grave questione sociale che accomuna i paesi europei: lo sfruttamento dei minori migranti da parte della criminalità. Il film raggiunge il massimo di intensità drammatica, senza suspense o colpi di scena, seguendo lo svolgimento di azioni apparentemente innocue.
Lo sguardo orizzontale dei registi testimonia i sentimenti e i desideri infantili che rimangono impigliati nella malefica rete criminale. Gli spettatori si sentono chiamati non tanto ad una generica empatia o commiserazione, cui ci hanno abituato i media, ma alla conoscenza concreta di una realtà sociale che ci circonda. Il film conferma il grande cinema umanistico dei Dardenne, rivolto alla responsabilità e alla cura nei confronti degli altri. Come hanno affermato i registi durante la master class, i fatti di cronaca e le logiche del neocapitalismo vengono trasformati nei loro film in questioni morali.
Grandi eredi del neorealismo italiano, i Dardenne ci insegnano a non disprezzare l’altro e a non respingerlo. Al di là di fagocitanti reportage televisivi o inquietanti statistiche sociologiche, il cinema riprende per mano i corpi reali delle persone, come ci hanno insegnato Rossellini, Zavattini e De Sica. Questo cinema non costruisce tesi e risposte giudiziarie, non mostra in modo freddo le logiche del profitto e gli ingranaggi del neocapitalismo, ma crea delle indagini morali volte, come hanno sottolineato i cineasti, ad un avvicinamento affettivo e spirituale con gli attori, smascherati e riscoperti nella loro fragilità e forza di persone reali.