“Au Bord” al Florida: il canto di una donna, duro e disperato

Firenze – Molly Bloom è tornata per dare libero sfogo ai conflitti, ai sentimenti profondi e alle angosce e ai desideri più inconfessabili, a cercare il significato del male e del bene, il flusso di coscienza di una donna del XXI secolo.

Al Teatro Cantiere Florida di Firenze è stato presentato in prima toscana “Au bord”, scritto dalla drammaturga francese Claudine Galea , premiato col Grand Prix de littérature dramatique, con la regia di Valentino Villa e l’interpretazione dell’attrice Monica Piseddu.

In comune con uno dei più famosi monologhi della letteratura mondiale quello di Galea ha certamente la sua collocazione temporale in un periodo di avvio di una nuova epoca foriera di eventi drammatici , nella quale entra in crisi l’intero sistema di valori con i quali l’Occidente ha convissuto per mezzo secolo. Molly viveva da donna tenuta in un ruolo subordinato la rottura definitiva dell’io dalla sua realizzazione empirica, da un sistema integrato di valori sociali e culturali; la protagonista della pièce di oggi vive drammaticamente l’affermazione del femminile in un mondo che ancora stenta a riconoscerlo.

A scatenare il flusso di coscienza è una fotografia che nel maggio del 2004 sollevò indignazione in tutto il mondo,  una delle immagini che furono rese pubbliche dalla rete televisiva statunitense CBS, all’interno di un documentario, 60 minute. Era una prova delle torture che venivano praticate nella prigione di  Abu Ghraib dove venivano reclusi i prigionieri del contingente americano durante la guerra in Iraq.

Nella foto è ritratta la soldatessa Lynndie England, con indosso dei pantaloni militari e una maglietta a tinta unita, che tiene al guinzaglio un uomo, nudo, riverso sul pavimento. La protagonista “parlante” ha attaccato questa foto al muro e diventa per lei una sorta di punto di attenzione concentrazione dal quale non riesce ad abbassare lo sguardo. “Io sono il guinzaglio” dice, i due capi del guinzaglio quello della vittima e della dominatrice. Quello è il guinzaglio del rapporto non risolto con una madre egotistica e torturatrice, di quello con gli uomini e con le donne, l’ultima delle quali ha conquistato il suo amore e poi l’ha abbandonata.

L’occhio attraversa orizzontalmente quell’immagine e coinvolge verticalmente e intimamente l’osservatrice:  è la rappresentazione del disumano che si nasconde dentro di noi, anche dentro  una donna dai tratti dolci e amabili come la soldatessa,  o come la Molly di Galea. Il problema non è la foto – ha spiegato il regista – ”il problema siamo noi  di fronte a un’immagine che mette in scena la nostra disumanità e con la quale evitiamo di fare i conti, che evitiamo di guardare veramente. L’orrore che queste immagini  è proporzionale a quello che ognuno di noi custodisce nelle sue zone d’ombra e del quale la fotografia non è che il riflesso”. Per questo non basta staccare quell’immagine dal muro, come fa Galea. Il suo significato e il suo portato emotivo tornano fuori in parole dure, in atti di accusa verso se stessa e la civiltà nella quale è cresciuta.

Per non trasmettere un’identificazione fra l’autrice del testo e l’attrice, Villa ha preferito creare una sorta di “disidentificazione del parlante” il cui volto non si vede mai netto, nemmeno alla fine, al momento dell’applauso, con Monica Piseddu che lo nasconde con la massa dei capelli.

Au Bord ha inaugurato la seconda parte di Materia Prima Festival a cura della compagnia Murmuris, e anticipa l’apertura di “Dieci”, stagione 2022/2023 del Teatro nata dalla curatela congiunta di Elsinor Centro di produzione teatrale, Murmuris e Versiliadanza.

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