Firenze – Fabio Masi è forse uno degli ultimi preti del Concilio: animato dalle novità di quella svolta ecclesiale, ha cercato di seguirne le indicazioni nella sua opera di parroco (è stato cappellano al Duomo di Firenze, 1955-1964, parroco a San Luca a Vingone, 1964-1982, ed è dal 1982 parroco a S. Stefano a Paterno a Bagno a Ripoli). Compiuti i novantun anni, Fabio Masi, “un sacerdote fedele ma libero”, continua ad essere una voce critica e un punto di riferimento nella Chiesa cattolica fiorentina. Maurizio Bassetti racconta la sua vita di prete, le sue scelte, i valori che l’hanno guidato in un volume dal titolo “Fabio Masi – Un sacerdote fedele ma libero nella chiesa cattolica contemporanea” (Pacini Editore). Pubblichiamo un dialogo fra l’autore e il protagonista del libro.
Bassetti: Caro Fabio, per prima cosa direi di parlare in generale di questo libro: che valutazione gli dai? Sei d’accordo con l’interpretazione di fondo sulla tua esperienza di prete che emerge dal libro e che viene evidenziata anche dal titolo, “Un sacerdote fedele ma libero”?
Masi: Quando mi facesti leggere la prima stesura del tuo manoscritto, mi colpì quel titolo perché mi resi conto che avevi centrato un aspetto importante della mia vita. Io credo che si potrebbe sintetizzare bene proprio con questa battuta: “coniugare fedeltà e libertà”. Cosa che io credo difficilissima e non nella Chiesa soltanto, ma anche in altre realtà, per esempio nel rapporto di coppia. A un primo giudizio può sembrare che chi è fedele non è libero e chi si sente libero non può essere fedele. Io credo invece che la vera fedeltà la può vivere solo chi è libero, sennò è servitù. Certo, io e altri miei compagni di viaggio, abbiamo avuto forti tensioni con l’autorità ecclesiastica, io sono stato anche sospeso “a divinis” per un periodo. Ma sono rimasto sempre nella Chiesa e sono a 91 anni ancora parroco.
Bassetti: Perché la fedeltà alla Chiesa e al Vangelo è stata così importante per te e ti ha spinto a non uscire mai dalla Chiesa?
Masi: Dal Vaticano II si è sviluppata una percezione di Chiesa non più divisa in Chiesa docente e discente, Chiesa che insegna e Chiesa che impara, ma come “popolo in cammino”. Le radici di questi contenuti sono antiche, il Vaticano II ha raccolto tutti questi fermenti e li ha rilanciati. Così è cambiato anche il concetto di fedeltà. Per secoli, nella Chiesa preconciliare i termini erano stati chiari: da una parte la Chiesa docente, il Papa e i Vescovi uniti a lui; dall’altra i “fedeli” che ascoltano, imparano e obbediscono, e i preti in mezzo a fare da cerniera, da intermediari.
Una volta superata questa divisione, per me orribile e pericolosa, e passati ad autocomprenderci come “Popolo in cammino”, è cambiato anche il modo di intendere la fedeltà. Esser fedeli non può più significare essere semplicemente esecutori ma tutti coinvolti perché il Vangelo di Gesù sia segno di speranza oggi.
Inoltre i conflitti che ho vissuto non sono stati mai sulle formulazioni teologiche che sono sempre figlie del tempo in cui sono state scritte e quindi relative. I conflitti nascevano su altri temi come quelli dei legami della Chiesa con i poteri politici ed economici, della propaganda a favore di un partito, della proposta di un vescovo di rifiutare gli immigrati islamici o, più recentemente, dei diritti degli omosessuali.
Bassetti: Durante la tua esperienza hai attraversato tanti momenti della Chiesa, hai svolto tanti impegni diversi, in un percorso che nel libro si cerca di ricostruire: quali momenti fondamentali vuoi ricordare che siano stati messi in evidenza nel libro?
Masi: Il libro ha presentato i vari momenti molto bene e non era sempre facile. Tu sei stato molto fedele da questo punto di vista.
Vorrei partire dal periodo in cui ero cappellano al Duomo di Firenze. In questo periodo ci sono state due esperienze fondamentali, che mi sono rimaste impresse, tatuate nell’anima: la chiusura delle case di tolleranza nel 1958 e la questione dell’omosessualità.
A quei tempi avevo 27 anni e non conoscevo a fondo il problema della prostituzione; mi ritrovai immerso in questa storia senza sapere come comportarmi. Ne ho conosciute molte di queste persone; al momento della chiusura delle case, venivano a chiedere soldi per tornare a casa, per ritornare alle regioni di provenienza, chi in Sardegna, chi in Veneto, chi in Sicilia, altrimenti mi dicevano che sarebbero state buttate sulla strada. Ero consapevole che potevano fregarmi ma nel dubbio rischiavo e pagavo il biglietto. Così fui catapultato in quel mondo fatto di grande sofferenza e di pericolo. Fui anche minacciato da dei “magnaccia”.
L’altro fatto importante fu l’incontro con il mondo degli omosessuali. Ti confesso che allora non sapevo neppure cos’era di preciso l’omosessualità. Ero convinto che fosse un vizio da depravati o una malattia. Ero anch’io vittima dei pregiudizi del tempo e delle chiacchiere, anche perché allora gli omosessuali in genere erano clandestini. Quest’incontro mi ha cambiato profondamente e ora sono amico di alcuni di loro che sono stati una presenza importante nella mia vita. Di recente la questione è sfociata in un documento in cui, insieme ad altri, ho preso posizione sull’argomento dell’omosessualità, sostenendo, come tu racconti nel libro, che può essere un modo diverso di vivere la sessualità e che gli omosessuali devono essere accolti dalla comunità cristiana. E questo mi ha creato problemi col Vescovo che mi ha accusato di affermare tesi insostenibili e ingannare la gente.
Bassetti: Torniamo ai vari momenti importanti della tua vita: io dedico nel libro ampio spazio a quello degli anni 60-70 che tu hai passato come parroco al Vingone, quartiere di Scandicci, proprio quando c’era appena stato il Concilio: tu hai iniziato nel 1964 e il Concilio finì nel 1965. Cosa ne pensi di quel periodo?
Masi: Al Vingone ho vissuto un altro momento che ha modificato profondamente la mia vita e che mi ha fatto mettere a fuoco tante cose che stavo maturando già prima. In quel periodo io mi vedevo con don Mazzi dell’Isolotto, con don Gomiti, che poi andò parroco alla Casella, e con altri come Borghi e Rosadoni, per mettere a punto un nuovo modo di essere preti. Avevamo come modello la Chiesa francese e olandese, che proprio Rosadoni ci aveva fatto conoscere, e ci vedevamo settimanalmente a rielaborare insieme le linee fondamentali della pastorale, alla luce di quelle nuove esperienze e delle conclusioni del Concilio.
Così si arrivò al 1968 quando esplose il caso Isolotto, la scintilla fu l’occupazione del Duomo di Parma da parte di alcuni giovani. Noi ci schierammo a sostegno dell’Isolotto, pur nella nostra diversità, e per me questo momento è stato determinante. Coinvolsi anche la mia comunità del Vingone; quando i preti dell’Isolotto furono buttati fuori dalla parrocchia, accogliemmo i ragazzi della prima comunione, che completarono da noi il loro percorso di fede. È stata questa esperienza che mi ha fatto riflettere sull’importanza di tenere insieme fedeltà e libertà. L’obbedienza a occhi chiusi, cieca e assoluta, come in passato dicevano i gesuiti perinde ac cadaver (come un cadavere), non si concilia col Vangelo.
Bassetti: Come sintetizzeresti la caratteristica che distingueva la comunità del Vingone?
Masi: Forse la caratteristica della comunità del Vingone era che il denominatore comune che ci univa non era la fede. Era una comunità più larga che si ritrovava in una particolare concezione della storia che stavamo vivendo, che spingeva ad essere accanto ai più penalizzati dalla società, ai più fragili.
Sull’esempio di don Milani, facemmo subito una scuola serale per adulti e il doposcuola per i giovani. La cosa che ci univa era il servizio a queste persone, e si esplicava non solo nella scuola, ma anche in altre iniziative di quartiere come l’associazione dei genitori nella scuola e altro.
Bassetti: Dopo l’esperienza del Vingone sei stato ben quarant’anni a Bagno a Ripoli in una parrocchia di campagna a Paterno che probabilmente nella visione del Vescovo doveva essere come una punizione, un relegarti in un posto dove non potevi più fare niente; invece credo che in questa nuova comunità tu abbia potuto fare un altro bel percorso, come ho cercato di illustrare nel mio libro. Cosa ne pensi?
Masi: Sì. Qualcuno ha chiamato Paterno una zona materna, un luogo di contadini o ex contadini che hanno tanto cuore, accoglienti. Quando iniziai il mio servizio a Paterno, diverse persone di Vingone mi seguirono, ma all’inizio non fu facile, perché i residenti della zona si sentirono invasi da tanta gente che non era del territorio. Questa, ormai da tempo, è una caratteristica di tutte le parrocchie che non sono più rigidamente territoriali; ora la comunità uno se la sceglie ed è un fatto positivo.
Ma per un po’ di tempo ci fu bisogno di adattamento. I residenti venivano in Chiesa la domenica e non trovavano posto a sedere, erano sconcertati, si dicevano l’un l’altro: «Ma chi sono questi che vengono da fuori? che vogliono?» Poi quello che fece superare il disagio fu il doposcuola ai ragazzi del posto, fatto anche da diversi che venivano da Vingone. E questo ruppe il ghiaccio. Oggi non ci accorgiamo nemmeno se uno è residente nella zona o viene di fuori.
A Paterno poi ho avuto modo di approfondire l’esperienza del catechismo che è diventato un impegno molto importante. Un catechismo che mira anche a formare dei giovani con spirito critico, capaci di porsi delle domande sul senso della vita oltre a essere un’iniziazione al Vangelo.
Alcuni, che hanno seguito il catechismo da me organizzato, mi dicono di non frequentare più la Chiesa o addirittura di non potersi più dire credenti, ma affermano anche che il catechismo è servito a formare la loro personalità, a iniziarli a certi valori, a porli in continua ricerca del senso della vita. Certo a me non dispiacerebbe se continuassero a impegnarsi anche in un rapporto di fede, ma forse è già importante l’educazione all’attenzione all’altro, all’amore disinteressato.
Bassetti: Un’ultima questione: in questi ultimi tempi ti sei misurato con il nuovo pontificato e mi sembra che Papa Francesco sia più vicino al tuo modo di vedere. Nel mio libro sottolineo il tuo giudizio positivo, ma anche il tuo impegno a continuare ad esercitare “atteggiamenti critici” anche con lui. Perché?
Masi: Partiamo dalle reazioni che ci sono state all’elezione di Papa Francesco e poi alla prassi di questo nuovo pontefice. Per alcuni è stata una boccata di ossigeno ma continuano a tenere un atteggiamento critico quando lo ritengono necessario, fra questi ci sono anch’io. C’è chi si è adeguato acriticamente dicendo: «Ora c’è Papa Francesco, facciamo come dice lui!». Poi, c’è chi non condivide la strada che lui ha imboccato; tra questi c’è chi si oppone in modo positivo e cerca di aiutare in spirito di collaborazione. Ma c’è anche un’opposizione che mi irrita profondamente: quella dei rigidi papisti di un tempo che ora si oppongono perché il papa non la pensa come loro. Questo per me è intollerabile!
Debbo dire che io sono d’accordo anche con l’atteggiamento prudente di Papa Francesco. Capisco che deve tener presente quella parte di Chiesa che non condivide le sue posizioni (lo sperimento anch’io nel mio piccolo, in una parrocchia di 1200 abitanti). Festina lente, bisogna affrettarsi lentamente.
Il papa, che è pastore della Chiesa universale, deve tener conto di più posizioni. È giusto camminare insieme più lentamente in modo che tutti possiamo assimilare le novità e anche correggerle, ma non fermarsi. Questa è saggezza! Sarà perché io lo stimo molto, per questo forse lo scuso come non ho mai fatto con i suoi predecessori, ma credo che sia giusto che non faccia l’infallibile, che imponga la sua pastorale. Altrimenti siamo al punto di prima.
C’è un’affermazione in un documento del Papa, che io ritengo di profonda sapienza ecclesiale, «compito della Chiesa è avviare processi, non conquistare spazi». Un programma che in poche parole dice tutto.
Il libro di Maurizio Bassetti “Fabio Masi – Un sacerdote fedele ma libero nella chiesa cattolica contemporanea” sarà presentato il 27 ottobre alle ore 17.00, presso la Sala Wanda Pasquini piazza Madonna della neve 6 – 50122 Firenze. Intervengono Anna Scattigno, Pietro Domenico Giovannoni e Severino Saccardi.
Foto: Fabio Masi e Maurizio Bassetti