Firenze – Una verifica senza compromessi sta facendo Mario Draghi, assolutamente indisponibile a guidare un governo mentre i partiti sono già lanciati in quella che sarà una campagna elettorale senza esclusione di colpi. L’avventurismo disperato dei Cinque stelle, che lottano per la sopravvivenza politica, è stata la causa scatenante della crisi, ma il disagio del Presidente del Consiglio era da tempo arrivato al limite di guardia.
La mossa grillina di non votare la fiducia ha dato a Draghi l’opportunità di mettere in chiaro le cose. Lo aveva fatto ancor prima che Giuseppe Conte gli consegnasse il cosiddetto primo ultimatum, nel vano tentativo di fermare la deflagrazione del Movimento. Il suo ragionamento: “Vi riempite la bocca di parole come responsabilità e interessi del Paese, ma in realtà ciascuno di voi – con diversa maturità, dignità e professionalità politica – ormai ragiona a futura memoria. Sarò io a riportarvi con i piedi per terra”.
Non si governa con gli ultimatum, né continuando a chiamarsi fuori sulle decisioni più importanti. Un esecutivo di coabitanti ostili fra di loro, riottosi e in parte inaffidabili non è in grado di affrontare una crisi dopo l’altra, una guerra e una pandemia: il ribaltamento di tutte le sicurezze che ci sembravano eterne, utilizzando strumenti (soprattutto il PNRR) che non sono affatto scontati.
A due giorni dal fatale mercoledì 20 luglio, quando si deciderà la sorte del governo, Draghi ha visivamente mostrato agli italiani da Algeri che cosa significa avere un capo del governo che lavora (con successo) per risolvere i problemi. Grossi problemi, come quello che non si potrà contare più sul gas russo né per l’economia né per le famiglie.
Vorranno i movimentisti, la Lega e, a salire quanto a convinzione nel sostegno alla guida dell’ex presidente della Bce, Forza Italia, i centristi, Italia Viva e il Pd, accettare il fatto che prima della resa dei conti bisogna mettere ordine in casa per affrontare gli strali della sorte e della prepotenza? Se diranno di sì dovranno ingoiare le condizioni del premier, che in ogni caso è consapevole di essere a termine e di lavorare solo per i destini del Paese. Non ha bisogno di pensare alla carriera, come invece molti di quelli che siedono in Parlamento.
E’ questa la partita che si sta giocando a Roma. Draghi non accetterà situazioni pasticciate che rappresentino l’anticamera della battaglia elettorale (basta una forza politica per imporre alle altre il gioco al massacro) con una nuova conseguente paralisi dell’azione governativa. Ma le sue dimissioni hanno già ottenuto il risultato di smuovere un Paese frastornato (rappresentato dai sindaci di ogni orientamento politico) che gli ha chiesto di restare. Non si era mai vista prima una simile mobilitazione in difesa del pilota della nave nel mezzo della tempesta .
Difficile che Draghi resti sordo a questo grido di dolore, così com’è probabile che la sua sfida metta in fuori gioco i grillini estremisti e quelli come Matteo Salvini che vorrebbero andare a votare con negli occhi solo la conquista del potere, nonostante tutto. Gli altri leader europei, in un mare di guai anche loro, potranno così tirare un sospiro di sollievo. E Vladimir Putin dovrà rimettere lo champagne in cantina.