Firenze – Dai campi ai supermercati, la mafia guadagna. E guadagna cifre ingenti: secondo la stima effettuata dalla Coldiretti del business criminale che gira intorno all’agroalimentare, il businesssi si aggira intorno a oltre 24, 5 miliardi di euro.
“La malavita comprende la strategicità del settore in tempo di crisi economica perché – sottolinea la Coldiretti – consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana delle persone. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma – continua la Coldiretti – compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy”.
Gli strumenti sono quelli classici. Estorsione, intimidazione, danni ai campi e agli strumenti di lavoro e peggio. Scopo delle cosche, l’imporre l’utilizzo di specifiche ditte di trasporti, o la vendita di determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della mancanza di liquidità, arrivano a rilevare direttamente grazie, continua la Coldiretti, alle disponibilità di capitali.
“Un fenomeno che –conclude Coldiretti – minaccia di aggravarsi ulteriormente per gli effetti del caro prezzi provocato dalla guerra che potrebbe spingere le imprese a rischio a ricorrere all’usura per trovare i finanziamenti necessari”.
Non si salva la Toscana. Secondo il V Rapporto agromafie e caporalato, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, anche nella nostra regione i rapporti di forza sono tali da consegnare almeno 11.360 lavoratori alle fauci dello sfruttamento del lavoro, rendendoli fragili di fronte all’impatto delle agromafie e del caporalato. Secondo il Rapporto, il contratto d’impiego maggioritario per gli addetti agricoli, anche per la Toscana, è quello a tempo determinato. Gli occupati a tempo determinato sono i due terzi del totale (14.033 su 21.774), mentre gli occupati stabili a tempo indeterminato ammontano al restante terzo (7.741). Se il contratto di lavoro per la gran maggioranza degli addetti è per lo più regolare e interessa l’80,0% del totale (17.413 casi), il restante 20,0% è ingaggiato in forme irregolari. Inoltre, il 65,8% ha retribuzioni conformi agli standard contrattuali ma per l’altro terzo (il 34,2%), al contrario, la retribuzione non è conforme e spesso risulta essere marcatamente più bassa di quella dovuta e negoziata al momento dell’assunzione. Nell’insieme la componente vulnerabile ammonta realisticamente a 6.180 unità, a cui occorre aggiungere il 23,8% concernente la media di lavoro irregolare stimata dall’Istat per il settore agricolo (al 2018), cioè 5.182 unità. Da queste valutazioni è plausibile che il contingente di lavoratori fragili precari (dal punto di vista occupazionale) e pertanto soggetto a sfruttamento ammonti a circa 11.360 unità complessive. I luoghi dove si assiste alla rapida erosione della legalità e alla corsa rapida dello sfruttamento con ricorso al caporalato, sono in Toscana molti dei luoghi culla delle produzioni agricole più prestigiose, compresa la filiera viti-vinicola. Cominciando dal territorio di Arezzo, San Giovanni Valdarno, Valtiberina con Cortona, Sansepolcro, Badia, Valdarno Casentino partendo da Poppi, Pratovecchio, Ortignano, mentre in provincia di Firenze sotto bersaglio è il Mugello; in provincia di Grosseto emerge la zona dell’Amiata, Arcidosso, Marina di Grosseto, Scansano, Civitella Paganico, Cinigiano, Castel del Piano; nel livornese le zone rosse sono Venturina, San Vincenzo, Castagneto Carducci, Donoratico, mentre in provincia di Siena sotto tiro è l’area del Chianti, Castellina, Montecucco, Poggibonsi, Radda, Castelnuovo Berardenga.