Palestina: scambi di accuse sulla morte di Shireen

Pisa – La storia degli ultimi 30 anni del conflitto israelo-palestinese è peggiorata, sia sul piano dei diritti che della sicurezza, mentre è andata migliorando la copertura delle notizie provenienti da quel francobollo di terra. Oggi, sicuramente il luogo più monitorato al mondo. Dove però i giornalisti rischiano quotidianamente la vita, e pagano il loro diritto di cronaca a caro prezzo, come purtroppo avvenuto a Shireen Abu Akleh: uccisa mentre raccontava quella che da settimane è la nuova battaglia di Jenin, tra palestinesi e forze armate israeliane. Scatenata dagli attentati terroristici che affiliati all’ala armata di Fatah, provenienti da quella zona, hanno portato nel cuore di Israele.

Escalation di violenza che la reporter palestinese copriva con i suoi servizi, prima di essere colpita mortalmente da un proiettile, nei pressi del campo profughi di Jenin. L’omicidio della corrispondente del network Al Jazeera è un caso penale, quanto politico e diplomatico.

Le responsabilità politiche possono sfumare, ma la dinamica dell’accaduto difficilmente potrà restare segreta. Insabbiata forse, manipolata sicuramente. Nessuno può negare che Abu Akleh sia prima di tutto una vittima del conflitto e dell’occupazione.

Come era prevedibile durante i funerali svolti nella mattina di venerdì a Gerusalemme ci sono stati scontri con le forze di polizia israeliane. Nel rapporto provvisorio sull’incidente prodotto dall’esercito israeliano viene confermata l’impossibilità a determinare quale parte abbia premuto fatalmente il grilletto: se i palestinesi o gli israeliani. Secondo la testimonianza di un giornalista palestinese presente all’accaduto, e rimasto ferito, a sparare sarebbero stati i militari israeliani.

Il successore di Arafat e l’erede di Netanyahu si sono scambiati pesanti accuse. Opinioni discordanti, verità una sola. Il ministro degli esteri israeliano Lapid ha offerto collaborazione nell’indagine, la Muqata palestinese l’ha rifiutata, invocando la Corte penale internazionale. Se può essere comprensibile il diniego di Abu Mazen a Lapid non lo è l’aver chiamato in causa un tribunale per crimini internazionali. Comunque, ben venga una soluzione esterna se può servire ad andare fino in fondo e fare completa luce.

L’uccisione di Shireen Abu Akleh è anche questione diplomatica, e non solo perché la giornalista aveva passaporto statunitense. Il Qatar che possiede l’emittente Al Jazeera ha con veemenza criticato Israele. Washington ha espresso una forte condanna e chiesto l’immediato avvio di un’inchiesta. Che potrebbe portare a future sanzioni. E intanto rischia di gravare di tensione la prossima visita di Biden nella regione e degenerare ulteriormente in assurde violenze.

Un’ultima considerazione. Non ha fatto notizia l’aggressione brutale, filmata, al reporter palestinese Basil al-Adraa del magazine +972 da parte di soldati israeliani. Avvenuta in un villaggio a sud di Hebron pochi giorni prima dell’assassinio di Abu Akleh. In Medioriente dal fare informazione al diventarla il passo è tristemente breve.

Alfredo De Girolamo   Enrico Catassi

Fot: Abu Mazen

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