Firenze – E’ stata presentata questa mattina martedì 24 gennaio, la mostra dedicata a Rudolph Levy. “Una grande occasione – dice il direttore degli Uffizi Eike Schmidt – la riscoperta di un grande pittore ebreo-tedesco, espressionista e fauve che è stato sostanzialmente dimenticato”. Nell’immediato dopoguerra, a Levy vennero dedicate due mostre; poi, per circa 70 anni, il silenzio calò sulla sua figura e la sua opera.
La mostra “Rudolf Levy (1875 -1944) – L’opera e l’esilio” è dunque la riscoperta di “un pittore la cui arte sembra comunicare soprattutto la gioia, se guardiamo il colorismo ispirato soprattutto a Matisse, ai soggetti – continua il direttore degli Uffizi – ma c’è anche l’altro aspetto, il binario che portò il pittore ad Auschwitz, come altri sei milioni di ebrei nel corso della Shoah. Anche questo aspetto è importante. Stiamo celebrando una settimana della Memoria, e direi che non basta, dal momento che più il trascorrere del tempo ci fa allontanare, più cresce l’importanza di illstrare e consevare questa Memoria. Una Memoria che va conservata sempre ricordando l’unicità della Shoah, che non deve essere paragonata con altri crimini e altre tragedie. Non si tratta infatti tanto di una tragedia, ma di un vero crimine contro l’umanità, ed è troppo facile tentarne paragoni. E’ un evento unico nella storia, e come tale va ricordato e passato alle generazioni più giovani”.
La mostra, che ha sede in Palazzo Pitti, è una grande retrospettiva, che copre tutta la sua attività. Le 47 opere in mostra racconteranno la tormentata esistenza di Levy attraverso i suoi dipinti, dagli anni giovanili fino a quelli dell’esilio, tra cui gli ultimi trascorsi proprio a Firenze e considerati i più prolifici dal punto di vista artistico. Il giovane Levy inizia a dipingere in Germania sotto la guida di Heinrich von Zügel, uno dei fondatori della Secessione di Monaco. Si trasferisce poi a Parigi, dove frequenta assiduamente la scuola di pittura di Henri Matisse. Dopo aver combattuto nella prima Guerra Mondiale, va a
vivere a Berlino: è qui che nel 1922 realizza la sua prima mostra personale, facendosi conoscere ad una cerchia più ampia di pubblico e critica. Quando iniziano le persecuzioni naziste contro gli ebrei, Levy lascia la Germania e iniziano le sue peregrinazioni, le cui tappe principali sono Maiorca, poi la Francia, gli Stati Uniti, la Dalmazia. Nel gennaio del 1938 approda in Italia; dopo un soggiorno ad Ischia e un anno circa trascorso a Roma, nel 1941 arriva a Firenze. Nella sua
stanza-atelier a Palazzo Guadagni in piazza Santo Spirito, Levy ritrova la perduta felicità creativa: dal 1941 al 1943 realizza oltre cinquanta dipinti, in prevalenza nature morte e ritratti. Il 12 dicembre del 1943, dopo l’occupazione tedesca, viene arrestato e incarcerato alle Murate, quindi trasferito a Milano a San Vittore. Il 30 gennaio 1944 è messo su un treno per Auschwitz, nello stesso trasporto di Liliana Segre. Giunto ad Auschwitz viene presumibilmente avviato subito alle camere a gas perché considerato troppo vecchio per essere utilizzato per il lavoro da schiavo e la sua presunta data di morte è quella dell’arrivo del convoglio ad Auschwitz, il 6 febbraio 1944.
La mostra di Palazzo Pitti, nata da un’idea di Klaus Voigt, insigne studioso dell’esilio di ebrei e antinazisti in Italia, ha lo scopo di far conoscere Levy al grande pubblico: a causa della feroce repressione nazista nei confronti degli ebrei e contro la cosiddetta ‘arte degenerata’, le opere di questo artista presenti nelle collezioni dei musei tedeschi andarono in larga parte trafugate o disperse. Il progetto degli Uffizi è stato curato dallo stesso Klaus Voigt, recentemente scomparso, Susanne Thesing, autrice della monografia su Levy, Vanessa Gavioli, curatrice delle Gallerie degli Uffizi, e Camilla Brunelli, direttrice del Museo della Deportazione e Resistenza di Prato.
Stamani, alla presentazione della mostra, Valdo Spini, membro del consiglio di amministrazione delle Gallerie degli Uffizi, è intervenuto mettendo l’accento sul fatto che, con questa mostra, le Gallerie degli Uffizi adempiono alle loro funzioni di promotrici della conoscenza dell’arte e dei suoi protagonisti, ma adempiono inoltre ad una grande funzione civile in Firenze e verso il mondo intero: “Ne va dato atto al direttore Eike Schmidt, ai suoi collaboratori e collaboratrici, ai curatori e curatrici della mostra. Firenze è infatti la città in cui Rudolph Levy, che vi si era nascosto, venne catturato dalle SS che si fingevano mercanti id’arte, ed è anche la città in cui le Gallerie degli Uffizi gli rendono onore con una grande mostra retrospettiva, più ampia di tutte quelle precedenti. Una mostra che mette in rilievo che cosa ha perso la cultura europea con la morte del pittore nei campi di sterminio. Un esempio di come la shoah ha non solo compiuto crimini orrendi ma fosse anche uno strumento di anticultura”.
“Rudolph Levy dalla scuola di Matisse ad Auschwitz, ecco cosa fecero i nazisti con l’aiuto dei loro alleati fascisti italiani -dice Spini – A tutto ciò oggi contrapponiamo il linguaggio universale dell’arte di Rudolph Levy che i nazisti consideravano degenerata ma che invece è stata partecipe di un grande progresso estetico ed etico”.
“Non dimentichiamoci mai – conclude Spini- che se i nazifascisti avessereo vinto la II guerra mondiale avrebbero portato a termine il loro disegno di sterminio completo del popolo ebraico”.
In foto: Fiamma, 1942, olio su tela, Firenze Galleria degli Uffizi, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, cat. n. 31
Fiamma è una ragazza di nazionalità svedese che posa per Levy a Firenze nel 1942. Di lei, forse una giovane esule figlia di amici del pittore, non sappiamo nulla di più. Il ritratto, considerato uno dei più intensi di Levy, è appartenuto al collezionista Gualtiero Loria (1909-1979), amico dell’artista, che contribuì attivamente alla prima mostra di opere di Rudolf Levy, nel 1946 a Firenze. L’opera è stata recentemente acquistata dalle Gallerie degli Uffizi per rappresentare Rudolf Levy all’interno delle collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti.